Vittorio Brumotti: "Scrivo un libro, voglio crescere"

Protagonista di un incontro al Festivaletteratura di Mantova

Vittorio Brumotti

Vittorio Brumotti

Mantova, 6 settembre 2019 - Supercoraggioso, supertatuato, superfidanzato (l’ultima conquista sarebbe l’erede di una grande famiglia industriale italiana). Ma anche serissimo nel proprio impegno sociale. È uno che buca lo schermo Vittorio Brumotti, 39 anni, ligure di Finale ma da tempo milanesizzato. Campione di bike trial estremo, collezionista di primati da Guinness e conduttore televisivo in varie trasmissioni di successo, oggi arriva al Festivaletteratura per un incontro (alle ore 17 nel Seminario arcivescovile) che parte con un un ammonimento più che con un titolo: “Non provateci a casa”. Ed è meglio non andargli dietro a uno così atletico, un metro e 75 di muscoli, che ha cominciato a 11 anni a saltellare su una piccola due ruote e poi ha continuato fino al Gran Canyon (solo per citare una delle sue imprese più eclatanti).

Domanda semiseria, quasi d’obbligo: lei che ci fa esattamente al Festivaletteratura?

«Per la verità sto scrivendo un libro: elevarmi è da sempre l’obiettivo della mia vita e voglio farlo sempre di più». Chapeau. Può raccontarci qualcosa dei contenuti? Si parla delle sue imprese o di altro? «L’argomento riguarda la mia esperienza nei quartieri degradati che ho visitato per le mie inchieste e dai quali cerco di allontanare bullismo, violenza e soprattutto droga, la cocaina che è dappertutto».

Per queste sue incursioni in zone difficili spesso se l’è vista brutta.

«È vero. Mi è capitato quando sono stato in un giardino dello spaccio a Bologna, al quartiere Zen di Palermo, nelle periferie di Roma. Nel libro parlo delle organizzazioni criminali nelle quali mi sono imbattuto. Cerco di raccontarlo nel modo più semplice ai ragazzi che vivono realtà difficili. È un discorso importante qui in Italia. Elevarsi grazie a un libro è il primo passo che i giovani devono compiere, e molti di loro non sanno nemmeno cos’è un libro. Mi viene in mente il Dalai Lama, che ha venduto gran parte dei beni che amministrava per impiegare i fondi nell’istruzione dei più giovani».

Per arrivare al suo scopo lei ha dovuto pedalare ad alta quota rischiando al pelle. È stato un modo per farsi sentire?

«Certo, la visibilità è importante. Ti guardano dicono: se è capace di fare quella roba allora magari vale la pena di dargli retta almeno un po’. Col bike trial sono riuscito a realizzare qualcosa di spettacolare e suggestivo. E, oltre all’aspetto esteriore, ce n’è anche uno che mi riguarda interiormente».

Quale?

«Quando sono su un canyon, o sulla spalletta di un ponte o dovunque si rischia, alla fine ne esco come pulito, con tanta forza in più. È come quando a uno diagnosticano un brutto male e poi gli dicono: ci siamo sbagliati. Il sollievo è tanto. E lo è per me quell’adrenalina che si prova di fronte alla morte, perché di questo si tratta».

Vittorio Brumotti quest’estate ha scoperto l’Italia dei borghi del cuore partecipando a un viaggio di 1600 chilometri organizzato dal Fai e sostenuto da Intesa Sanpaolo. Oggi sceglie Mantova come vetrina della sua aspirazione più alta: scrivere. Questo vuol dire che sta per lasciare le sue imprese estreme? Sarà il pubblico del Festival a scoprire se è così.