"Io, sfregiata con l’acido. Lodi mi ha accolto"

Vilma Dule, nel 2013, subì un agguato sotto casa a Tirana. Era stata promossa a manager della sua azienda scatenando la rabbia dei colleghi

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di Laura De Benedetti

"Ho scelto di non essere vittima: non ho fatto niente per meritare che qualcuno mi lanciasse dell’acido sul volto. Non voglio pietà e non voglio guardare indietro. Quello che è successo è la mia storia non la loro, dei miei aggressori". Ha colpito i circa 70 studenti delle classi terze e quarte dell’istituto Merli di Villa Igea la forza positiva emersa, ieri mattina, dal racconto di Vilma Dule, 35 anni, albanese che vive a Codogno. A 26 anni, promossa a manager dell’azienda di Tirana che gestiva la vendita, tramite call center, di prodotti alimentari per una ditta italiana, è stata sfregiata con l’acido da presunti colleghi rivali, mai neppure incriminati: hanno solo perso il posto.

Una laurea a Valona, poi un master a Tirana e il primo incarico nel call center dove, per le sue capacità, Dule fa presto carriera. Il caso vuole che la sua dirigente finisca nei guai con la giustizia e l’azienda promuova lei a manager, scatenando il rancore di un collega: è il dicembre 2012, l’inizio di una escalation di molestie e minacce che la porterà, quasi inconsapevolmente (lei aveva allertato l’azienda ma senza mai sporgere denuncia), a quel 27 agosto 2013 in cui la vita come la conosceva, felice e sicura (un posto di lavoro, un fidanzato, l’acquisto di una casa), deraglia. Un giovane l’attende sotto casa mentre esce per recarsi al lavoro e le lancia addosso l’acido che le corrode il viso e un braccio. "É iniziato un calvario durissimo - ricorda Vilma Dule -. L’ambulanza non è mai arrivata e sono stata portata in ospedale in auto. Mi sono risvegliata dopo tre o quattro giorni in quella che doveva essere la rianimazione, con una finestra aperta, le api che giravano, i farmaci che i miei familiari dovevano acquistare in farmacia e la proposta di amputarmi il braccio. La mia famiglia è riuscita a farmi ricoverare al Niguarda a Milano, dove vengo dimessa a fine anno. Il mio era anche un dei primi casi qui in Italia di donne sfregiate con l’acido, in contemporanea a quello di Lucia Annibali. Ho cercato di riprendere il lavoro, sottovalutando l’ustione che peggiorava, ma a maggio 2014 sono tornata in Albania per dare le dimissioni. Sono stata accolta a Lodi, una città meravigliosa, dove tante realtà mi hanno aiutato, la Questura con le pratiche, le associazioni dandomi un lavoro part time presso il Centro di raccolta solidale. Nel frattempo compivo viaggi in Francia per delle cure termali con effetto antinfiammatorio e ho iniziato a usare maschere trasparenti al silicone. La maschera mi dava sollievo rispetto al dolore dell’infiammazione ma portarla era un ostacolo rispetto alle persone che non riuscivano a guardarmi negli occhi: avvertivo la loro pietà, che non volevo. Mi dicevano: è più facile abituarsi a vedere una persona con le cicatrici che non con la maschera". Oggi Vilma ha iniziato a far conoscere la sua storia portando in giro la mostra di maschere decorate, frutto dell’arteterapia sviluppata in Francia: "Nelle scorse settimane le docenti hanno preparato i ragazzi tra i 16 e i 18 anni a questo toccante incontro, molto coinvolgente per gli studenti - spiega Anna Corsini, referente della Commissione violenza contro le donne dell’Iis Codogno, di cui il Merli fa parte -. Nelle prossime settimane ci sarà un nuovo incontro all’Ambrosoli".

L’invito di Vilma Dule, che si è sposata a febbraio, è dunque a guardare oltre ogni stereotipo: a vedere la persona dietro la maschera, dietro ai ruoli che la società preconfeziona per noi: "Per essere persone migliori - ha concluso - bisogna essere empatici, mettersi sempre nei panni degli altri".