Atletica, la favola di Davide...da record del mondo

Dalla borsite al ritorno allo sportcon il primato di corsa sul miglio Master (4’13’’96). Raineri, il fenomeno, si racconta

Davide Raineri con il suo allenatore, Claudio Tagliabue

Davide Raineri con il suo allenatore, Claudio Tagliabue

Lecco, 10 giugno 2019 - Ci sono storie d’amore che non tramontano mai, che forse possono venire accantonate anche per lungo tempo, ma poi ritornano più forti che mai. Come quella tra Davide Raineri e la corsa, una storia che sembra una favola e per questo merita di essere raccontata a partire dall’ultimo capitolo scritto giovedì scorso al Golden Gala Pietro Mennea. Mentre a Roma il tifo e le attenzioni italiche erano tutte per Tortu e Tamberi, le due indiscusse star azzurre, la copertina tra i Master se l’è presa tutta Raineri (46enne derviese e portacolori del Cs San Rocchino) che zitto zitto ha stampato il record del mondo sul miglio (categoria M45) con un tempo pazzesco 4’13’’96, superando dopo undici anni il 4’16’’16 dello statunitense Tony Young che resisteva dal 31 maggio 2008 a Gresham, in Oregon. Roba da far accapponare la pelle, come la risposta di Davide quando gli chiedi come ha fatto: «Sapevo di valere quel tempo». Punto. E qui rimani già spiazzato perché pensi: quanta spavalderia.

Ma poi guardi indietro e ti accorgi che solo negli ultimi mesi Davide ha piazzato una serie di record italiani (l’ultimo negli 800 a Nembro, il 2 giugno scorso, corsi in 1’56’’69 ) da far rabbrividire e allora ti sorge il dubbio di essere di fronte a un marziano. E allora salta fuori una storia da romanzo. Un romanzo ambientato a Dervio, paese in riva al Lario, sponda lecchese «dove da ragazzi non c’era molto da fare per divertirsi: o giocavi a calcio, o facevi atletica. E a me il calcio non è mai piaciuto». Davide, dimostra di avere un buon motore e buone gambe. «Il primo risultato vero arriva con il titolo italiano di campestre ai Giochi della Gioventù di Messina: li ho capito che potevo dire la mia». È il 1987 e la sua crescita è inarrestabile: titoli italiani, l’ingresso nelle Fiamme Oro, le maglie azzurre, fino al dodicesimo posto ai mondiali juniores in Corea ’92 sui cinquemila. Poi la luce si spegne. «Colpa di una borsite dietro a un ginocchio. Il medico della Federazione mi dice che serve l’operazione ma poi l’intervento chirurgico viene rimandato, passano i mesi, perdo la pazienza perché a quell’età è facile farsi attrarre da quello che c’è intorno».

E allora ciao ciao atletica, Davide si cala nei panni del “vero“ poliziotto con i turni e le pattuglie «ma senza rimpianti perché per me iniziava una nuova vita senza allenamenti massacranti e sacrifici». È il momento di costruirsi una famiglia: sposa Angela, appassionata velista e nascono Francesco e Anita, che presto vengono avviati all’atletica. E sono proprio loro che un giorno scoprono il passato agonistico di papà e così «mi chiedono di ricominciare e a quel punto l’ho fatto ma alle mie condizioni: al meglio o niente». Sono passati vent’anni e Davide ha superato i quaranta ma il fisico, prodigio di ibernazione, sembra rimasto intatto. «Ho la fortuna di avere un metabolismo velocissimo: il mio peso ha sempre oscillato tra i 55 chili in inverno e i 53 in estate senza peraltro fare diete. Sono figlio di un macellaio e adoro la carne rossa e non mi faccio mancare le birrette. Anzi, da ragazzo mi alzavo e avevo dolori ovunque: oggi invece riesco a gestirmi meglio, ho più testa. Il futuro? Non mi pongo limiti: finché potrò, abbasserò i crono». Perché il richiamo della foresta è più forte di tutto.