Nibionno, Samuele Gerosa: "In ditta soffocavo, ora vivo con le pecore"

Il 37enne: "Ho sempre pensato che avrei dovuto farlo prima". Aveva 24 anni quando ha lasciato il lavoro per fare il pastore

Nibionno (Lecco) -  Ha una malattia . L’ha contratta nel 2009, quando aveva appena 24 anni. L’ha “obbligato“ a lasciare un posto di lavoro comodo e uno stipendio sicuro, ma rimpiange di non esserne stato contagiato prima. È la malattia delle pecore. Se n’è ammalato Samuele Gerosa, pastore di Nibionno che ora di anni ne ha 37. "Lavoravo in una ditta metalmeccanica, solo che mi sentivo soffocare, allora l’ho lasciata – racconta Samuele, in questi giorni impegnato nella transumanza invernale nella zona del Meratese con un gregge di 1.500 capi tra pecore e asini -. Ho cominciato a fare il pastore quasi per sfida, poi ho capito che senza pecore non posso più stare". Non è una vita facile quella del pastore: sole, caldo, pioggia, neve, freddo; non ci sono sabati, domeniche, Natale, Pasqua, né gli altri festivi; di giorno si cammina in testa o in coda al gregge da un pascolo all’altro; di notte si bivacca in roulotte. Un suo collega non torna a casa in Romania da quattro anni.

«Siamo sempre in giro, attaccati alle pecore, però sinceramente questa vita a me non pesa", assicura Samuele, che se potesse tornare indietro rifarebbe ancora il pastore, anzi lo farebbe prima. Anche la sua fidanzata lavora con gli animali, sebbene in un stalla: "È del mestiere come me, sa ciò faccio". Samuele e le bestie che accudisce non hanno una meta precisa, fino a primavera vagheranno a valle tra la Brianza, il Lecchese, la Bergamasca. Poi si sposteranno negli alpeggi della Valsassina per l’estate, mentre gli altri solitamente si godono le vacanze. "Ma per me stare all’aperto in montagna con le pecore e gli altri animali è come stare in ferie – spiega Samuele -. Le persone sono diventate tutte matte, non hanno più pazienza. Le pecore sono bestie, però si sta meglio con loro. A me a volte sembrano più bestie certi umani".

Le pecore di cui si occupa sono destinate al latte per prodotti caseari e poi alla macellazione. "Per gli islamici", ironizza, riferendosi alle proteste degli animalisti italiani che contestano il consumo di carne d’agnello. "Certo – aggiunge serio -, pure a me spiace che vengano uccise, perché viviamo insieme. Noi comunque le trattiamo bene e non le facciamo soffrire". Della lana invece non si ricava nulla, anzi è considerata un rifiuto speciale, il cui smaltimento costa parecchio. Incredibile, con quello che costano i vestiti e gli isolanti naturali.