Lecco: impossibile curarlo a casa. E lui fa lo sciopero della fame e delle terapie

Ex manager malato terminale una volta dimesso dall’ospedale vorrebbe avere al suo fianco il figlio, ma l’alloggio Aler dove vive è troppo piccolo

Giuseppe Scuderi, 72 anni, con la flebo nel letto dell’ospedale “Manzoni“ di Lecco

Giuseppe Scuderi, 72 anni, con la flebo nel letto dell’ospedale “Manzoni“ di Lecco

Lecco - Non mangia, nemmeno prende le medicine da più di una settimana per protestare contro la casa popolare troppo piccola per essere curato. A fare lo sciopero della fame e delle terapie è Giuseppe Scuderi, ex manager d’azienda di 72 anni di Lecco che nella vita ne ha passate tante, malato terminale di tumore allo stomaco diagnosticato troppo tardi, ricoverato all’ospedale di Lecco da ormai due mesi. Il 72enne, che non può essere operato e che soffre di molte altre patologie oltre a quella oncologica, da più di 7 giorni non tocca cibo e si rifiuta pure di assumere i farmaci che lo aiuterebbero a stare meno male: beve solo e accetta unicamente antidolorifici e antiemetici contro la nausea. Lo fa perché, una volta dimesso, dovrà tornare in un angusto appartamento nelle palazzine Aler dove è assegnatario di un alloggio. E’ un minuscolo monolocale al piano superiore composto da un soggiorno e cucina insieme più una camera da letto dove non riuscirebbe nemmeno a muoversi con la carrozzina su cui sarà costretto a stare e dove non potrebbe ospitare né suo figlio né qualcuno che lo assista.

"Vorrei che mio figlio che è rientrato da Dubai possa starmi accanto e accompagnarmi verso la fine dei miei giorni ma in quell’abitazione non è possibile", racconta Giuseppe, conosciuto in città sia perché è uno storico attivista del Pd, sia suo malgrado perché purtroppo, nel 2012, il presidente dell’epoca dell’Aler di Lecco gli aveva tagliato le gomme dell’auto per ripicca poiché lui lo aveva rimproverato di aver posteggiato la propria Jaguar in un parcheggio riservato ai disabili.

"Ho chiesto aiuto agli assistenti sociali del Comune e presentato istanza ai funzionari dell’Aler ma è stata respinta", spiega. "Effettivamente quella casa è impraticabile già per lui, figuriamoci per una seconda persona, che si tratti di me piuttosto che di una badante o di chi si occupa di assistenza domiciliare", conferma il figlio Fabio, tornato in Italia dopo un decennio di lavoro negli Emirati Arabi nella speranza di poter stare accanto al genitore. Chi si occupa del caso ha provato a suggerire al padre e al figlio di sbarazzarsi degli oggetti di Giuseppe in modo da liberare un poco di spazio utile: "Sono le uniche cose che possiede, non sarebbe giusto, inoltre non basterebbe comunque, l’appartamento è un buco - assicura e replica Fabio -. Occorre un’altra soluzione, altrimenti significherebbe condannarlo a stare ed ad andarsene da solo, oppure rinchiuderlo in una Rsa dove però mio padre non vuole andare".

"Chiedo solo di potermi ricongiungere a mio figlio per avere una assistenza dignitosa in attesa della fine dei miei giorni", insiste Giuseppe, ora è sorretto a flebo e continua a respingere alimenti e cure, pronto ad andare avanti a oltranza, costi quel che costi, anche la vita.