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L’avvocato Fumagalli, 93 primavere sempre in Tribunale

È il decano dei legali lecchesi: "Da giovane avevo anche la passione per filosofia e il giornalismo. Fondai l’Araldo"

LECCO

Una vita nelle aule dei tribunali, 65 anni di professione, e alla vigilia dei 93 anni assiste uno degli imputati nel processo per il crollo del ponte di Annone Brianza. Edoardo Fumagalli è il decano degli avvocati lecchesi, il suo nome è legato ai processi più importanti che si sono celebrati a Lecco che ha condotto fino in Cassazione. L’abbiamo incontrato nel suo studio, in via Cattaneo a Lecco.

Avvocato Fumagalli, la professione forense è stata la sua prima scelta?

"Da giovane avevo tante aspirazioni, dopo il liceo classico mi iscrissi a giurisprudenza, ma avevo anche la passione per filosofia e il giornalismo. Ad un certo punto dell’università mi fermai, avevo altri interessi, fondai "L’Araldo" un giornale che raccontava la vita di Lecco nel dopoguerra che era un fiorire di idee e attività, soprattutto nel campo culturale, artistico, ad esempio mi ricordo la quinquennale che fu un successo. A livello sportivo con "L’Araldo" seguii la promozione in serie C tra i professionisti del Lecco, che mise le basi per arrivare successivamente alla serie A".

Quando arrivò la scelta definitiva?

"Durante l’esame di Filosofia del Diritto, lì capii quel era la mia strada e in un paio d’anni mi laureai. Il 25 febbraio 1955 iniziai il praticantato dall’avvocato Muttoni di Lecco e dopo l’esame di Stato a Milano il 2 gennaio 1958 aprii lo studio in corso Martiri, a pochi passi dall’allora commissariato di Polizia, Comando dei carabinieri e della Guardia di Finanza. Nel luglio 1984 mi trasferii in via Cattaneo dove tuttora ha sede il mio studio. All’inizio seguivo cause civili, poi sono passato al penale dove nel corso degli anni ho assistito imputati in processi di grande peso fino alla Cassazione".

Il battesimo da penalista?

"Era il 1969 e ci fu un delitto a Colico: un nonno uccise il nipote in una delle piazze centrali del paese dopo una lite. Aveva con sé un coltello e lo colpì provocandogli la morte. Durante il processo spiegai che il nonno aveva cresciuto il nipote e che non voleva fargli del male, ma far sì che avesse un buon comportamento. Quando andai in carcere dissi all’agente della polizia penitenziaria, quest’uomo presto lo porterò fuori dal carcere. Il Pm chiese 12 anni, la sentenza fu di 3 anni e 9 mesi e dopo poche settimane – tra benefici di legge e pena già scontata – uscì dal carcere. Da quel processo mi sono ancor più appassionato alla cronaca".

Altri processi?

"Ce ne sono tanti, mi occupai del delitto Dell’Oro di Valmadrera. Fu un decesso strano, con una persona che all’apparenza non aveva segni, poi venne scoperto un foro alla nuca e lì iniziarono le indagini che portarono ad una coppia del paese, poi l’uccisione di un senzatetto in via Carlo Porta nel 1977, mentre nel 1980 mi occupai di un delitto a Barzago con l’uccisione del padrone della villa: qui moglie e marito si rimpallavano le responsabilità e – con l’avvocato Pisapia di Milano – siamo riusciti a far emergere la verità con l’ergastolo al marito e l’assoluzione della consorte. Poi è arrivata l’epoca di Tangentopoli, e quelli sono stati anni impegnativi".

Il processo sul crollo del ponte di Annone Brianza?

"È molto delicato, si spera che emerga la verità circa le ragioni dell’accaduto e relative responsabilità".

La vostra professione come è cambiata?

"C’è un grande cambiamento in atto, come in tutte le professioni. Vanno riviste le regole deontologiche e valorizzate le specializzazioni, oltre ad un numero contenuto di accessi alla professione. Il rischio è svilire il concetto di avvocato che non può essere considerato un Azzeccagarbugli perché anche in futuro dobbiamo essere considerati con dignità e fare l’avvocato è una missione".

Angelo Panzeri