'Ndrangheta, chiusa la pizzeria di famiglia: la proprietaria è nipote del boss

Il prefetto di Lecco ha chiuso di nuovo con una interdittiva antimafia il locale Beatles di Galbiate, gestito dalla nipote di Franco Coco Trovato

Investigatori antimafia della Dia

Investigatori antimafia della Dia

Galbiate (Lecco) - Pizzeria di "famiglia" chiusa per mafia. La serrata è scattata per la pizzeria Beatles di Galbiate. La proprietaria è Vanessa Alcaro, 34 anni settimana prossima, che abita a Torre de' Busi. E' nipote per parte di madre del boss della 'ndrangheta lecchese Franco Coco Trovato, che sta scontando plurimi ergastoli al 41 bis dopo essere stato catturato nel 1993, e figlia di Luigi Alcaro, condannato in via definitiva a 10 anni e 6 mesi per traffico di droga dopo essere stato arrestato nel 2003 nella retata antimafia di Oversize. Il suo ex marito invece è il 38enne Vincenzo Marchio, arrestato a febbraio nell'ambito dell'indagine "Cardine - Metal Money", con cui i magistrati della Dda di Milano con gli investigatori della Finanza e della Mobile di Lecco hanno smantellato l'impero milionario fondato su rottami, rifiuti radioattivi, frodi, truffe, usura ed estorsioni del 72enne compare Cosimo Vallelonga, altro capobastone della criminalità organizzata. Il suo ex suocero è quindi Pierino Marchio, uno degli esponenti di spicco della maggiore di Calolziocorte, anche lui arrestato e poi condannato definitivamente a 10 anni per l'inchiesta Oversize.

A ordinare la chiusura della pizzeria Beatles è stato il prefetto di Lecco Castrese De Rosa, che ha emesso un'interdittiva antimafia. La pizzeria era già stata chiusa nel giugno del 2020 quando, tramite la società Luce, era intestata alle altre due sorelle Celeste e Lucia Alcaro, di 30 e 37 anni. Per poterla riaprire è stata però costituita lo scorso settembre una nuova società. Nonostante il nome nuovo la sostanza non è però cambiata, la gestione di fatto è sempre la stessa, le parentele pure e anche i rischi che la pizzeria sia utilizzata per gestire gli affari sporchi di famiglia. “La ricognizione informativa operata dai componenti del gruppo interforze ha consentito di ricostruire che la nuova impresa rappresenta di fatto una continuazione di quella precedente, con una operazione di cosmesi societaria finalizzata di fatto a eludere il provvedimento inibitorio legittimamente emesso nei confronti della predetta società”, spiegano della Prefettura. A scoprire il trucco o la “cosmesi societaria” sono stati appunto gli investigatori del pool antimafia locale, composto da carabinieri, poliziotti, finanzieri, un investigatori della Dda e un esponente della prefettura di Lecco.

“Come ho già avuto modo di dire, salvaguardare l’economia legale dalle infiltrazioni della criminalità organizzata rappresenta un obiettivo prioritario – commenta e ribadisce il prefetto di Lecco -. Le caratteristiche della criminalità che opera nel Lecchese sono, innanzitutto, la mimetizzazione e il camaleontismo. Si tratta di una criminalità organizzata che, seppur silente, inquina il mercato, altera gli equilibri, semina germi di illegalità in un tessuto produttivo solido e alla fine lo indebolisce, incrinando il clima di fiducia tra gli operatori”. Si tratta della ventesima interdittiva antimafia adottata nell'ultimo paio d'anni, la nona solo negli ultimi 4 mesi. Oltre a ristoranti e pizzerie, che sono sempre stati il simbolo degli 'ndranghetisti nel Lecchese – l'operazione costata le manette al “capo dei capi” nel 1993 era stata denominato Wallstreet proprio come l'insegna della sua pizzeria – sono stati chiusi sfasciaccarrozze, agenzie funebri, autonoleggi e concessionarie, un mobilificio, immobiliari e imprese edili.