GIANLUCA BOSIA
Editoriale e Commento

Quattro calci a un pallone

Sempre più ordinanze comunali vietano ai bambini di giocare a calcio in strada o nelle pubbliche piazze

Chi tra di noi ha 50 o 60 anni da bambino avrà sicuramente partecipato al rito pomeridiano della partita di pallone nel cortile del condominio, sul sagrato della chiesa o nelle strade magari deserte dei paesi o periferie di allora. Era un momento di gioia, di grande libertà e di ginocchia e gomiti perennemente sbucciati. 

Parliamo di un'altra era sociale e soprattutto urbanistica e di traffico. A vietare il calcio era solo la portinaia o qualche vicino che, infastidito, la palla non te la rendeva o peggio la bucava se finiva sul suo terrazzo. A volte a farne le spese era il vetro di una finestra con fuga che generalmente terminava con una bella punizione della banda dei ragazzi di via Pal di casa nostra.

Ora dalle Alpi alla Sicilia sempre più ordinanze comunali impediscono di giocare a pallone in piazza o in strada. Si basano soprattutto su assunti indiscutibili come la sicurezza dei bambini e su alcuni eccessi molesti magari dei più grandicelli ma anche su una interpretazione del “decoro urbano” secondo la quale quattro calci al pallone in piazza sarebbero “indecorosi”. Sui social già ci sono fiumi di post tra i pro e contro al divieto. A voi stabilire chi abbia ragione, certo è che nella norma c'è un divieto nascosto: vietato sentirsi felici di tirare quattro calci a un pallone se non in un campetto o all’oratorio.  E poi una sorprendente constatazione: se servono ordinanze simili evidentemente ci sono ancora ragazzini che a un videogame preferiscono il giocare insieme. Sono una specie ormai rara e in via di estinzione. Da proteggere.