Indigo.ai, la startup dei robot che scrivono come gli umani

Una giovane società milanese sta sviluppando le tecnologie che permetteranno ai computer di sostituire gli uomini

I fondatori di Indigo.ai

I fondatori di Indigo.ai

Quando i computer parleranno e scriveranno (e penseranno, naturalmente) al posto nostro, cosa ci resterà da fare? Visti gli ultimi progressi dell’intelligenza artificiale sul linguaggio umano, il momento in cui dovremmo domandarcelo sembra sempre più vicino. Anzi, dovremmo farlo già adesso. Proprio così, perché nel tempo in cui riusciamo a leggere un articolo, un computer istruito con l’Ai (Artificial intelligence) riesce a memorizzare, per esempio, tutti i contenuti di Wikipedia. E lo fa per un motivo preciso: farsi un’idea degli uomini e riprodurre il loro linguaggio. Non stiamo parlando di piccoli laboratori covo di nerd che cercano di far parlare un tostapane. Ma di società che fanno fatturati a cinque zeri già adesso. Di tecnici che ogni giorno istruiscono le macchine in maniera sempre più precisa. E soprattutto di tecnologie con le quali abbiamo a che fare ogni giorno. Basta aprire il sito di una banca o di un gestore telefonico per trovarsi di fronte un robot che prova a imitare un uomo. Le chat che si aprono in automatico su molti siti sono infatti “gestite” da computer che decifrano le nostre richieste e cercano di rispondere in maniera efficace alle nostre domande simulando, più o meno, la presenza di un operatore in carne e ossa. Ma chi ha in casa un assistente virtuale (i più diffusi sono quelli Amazon e Google) ne ha un esempio quotidiano e ravvicinato.

La startup nata all'università

A Milano esiste una società, nata solo sei anni fa, che ha fatto di queste tecnologie – intelligenza artificiale conversazionale – il suo business e che si sta conquistando un ruolo importante nel panorama internazionale. Si chiama Indigo.ai, è stata fondata da cinque ex studenti del Politecnico e ha tra i suoi clienti istituti di credito, assicurazioni, multinazionali farmaceutiche. «I nostri prodotti – spiega Gianluca Maruzzella, 29 anni, fondatore e amministratore delegato della società – sfruttando l’intelligenza artificiale sono in grado di comprendere le informazioni nel testo o nella voce in maniera completamente automatica. In questo modo le aziende possono avere un rapporto più veloce e proficuo con i clienti, ma anche rendere più efficienti i processi». Il risultato sono, appunto, le chatbot (i robot che chattano con gli utenti). Ma non solo. «È quello che le aziende chiedono di più adesso, soprattutto per migliorare ed alleggerire i call center, ma la nostra piattaforma funziona con qualsiasi testo o conversazione». Le applicazioni delle tecnologie sviluppate da Indigo, per esempio, hanno avuto applicazione anche per il Covid. L’anno scorso insieme al Centro Medico Santagostino la start-up ha sviluppato un sistema che aiuta ad orientarsi tra la moltitudine di dati e studi sul Coronavirus. «Il problema – spiega Maruzzella – era che già all’inizio della prima ondata, ad aprile 2020, i casi aumentavano esponenzialmente e insieme a loro anche i testi di riferimento, gli studi, le analisi. Così abbiamo educato l’intelligenza artificiale a “navigare” all’interno di questo mare di informazioni e a fornire risposte utili ai ricercatori. Permettendogli di risparmiare tempo e aumentando l’efficacia delle risposte». Il rapporto tra informazioni e rete è stata la base anche dell’altra Ai “anti-covid” elaborata da Indigo.ai: Vera, un’assistente virtuale, realizzata insieme all’ospedale San Raffaele, che permette alle persone di porre domande sul Coronavirus e avere risposte scientificamente solide. «Basta porre una domanda e viene prodotta una risposta semplice e diretta con precisi riferimenti scientifici. È un modo per cercare di smontare le fake news che si sono moltiplicate in questo anno. E quanto ce ne fosse bisogno lo dimostra una delle domande alle quali Vera deve rispondere più spesso: il 5G provoca il Covid?». I risultati per Indigo, il cui team conta 21 persone, età media 29 anni, sono sia nei riconoscimenti internazionali, sia nei numeri. La società è stata selezionata due volte per la delegazione delle start-up italiane al CES di Las Vegas (la fiera dell’elettronica più importante del mondo) e ha vinto tre riconoscimenti del premio Gaetano Marzotto per l’innovazione imprenditoriale. «Non male – scherza Gianluca – per un gruppo di amici che si è conosciuto all’università e che è partito con l’idea di risolvere un semplice problema molto sentito dagli studenti: la chiusura nei weekend della segreteria». La prima applicazione di Ai che Gianluca (insieme a Enrico Bertino, Marco Falcone, Andrea Tangredi e Denis Peroni) ha messo in campo, è stata infatti una chatbot dell’università che rispondesse agli studenti anche quando gli sportelli erano chiusi. Da progetto universitario, in pochi anni – grazie anche all’iniziale supporto di H-Farm, l’acceleratore di impresa di Roncade (Treviso) – è diventata una delle realtà di Ai più importanti d’Italia. Tanto da meritarsi, tra le prime in Europa, la possibilità di utilizzare l’ultimo e più potente strumento di Ai linguistica, il GPT-3, l’intelligenza artificiale creata dalla società americana OpenAI, sotto l’egida di Microsoft, capace di produrre testi indistinguibili da quelli scritti dalle persone.

Articoli scritti dal computer

Quanto GPT-3 sia potente è diventato evidente a tutti nel settembre dell’anno scorso quando sul giornale inglese The Guardian comparve un editoriale dal titolo “Un robot ha scritto questo articolo, sei ancora spaventato, umano?”, un breve saggio realizzato in autonomia da un computer dopo che il giornalista gli aveva indicato titolo e prime righe di testo. Nel testo la macchina cerca di spiegare perché gli uomini non dovrebbero aver paura degli sviluppi, ancora sconosciuti, dell’intelligenza artificiale e, tra le altre cose, dice «L’intelligenza artificiale non distruggerà gli uomini», oppure «Sradicare l’umanità mi sembra un’impresa piuttosto inutile», e infine «Gli umani non sono forse la creatura più avanzata del pianeta? Perché dovrebbero credere che qualcosa di inferiore, potrebbe distruggerli?». La storia dirà se l’articolo è una pietra miliare del rapporto tra uomini e computer o un semplice trucco da salotto, una specie di videogame molto evoluto. Resta il fatto che, già ora, un computer è in grado di farlo e che anche una persona senza particolari conoscenze informatiche può giudicare il risultato. Ovvero un articolo che potrebbe essere stato scritto da una persona. Forse meglio. Il GPT-3 acquisisce miliardi di informazioni in rete, archivia i testi creati dall’uomo, mappa i modelli con cui comunichiamo e li utilizza per creare nuovi contenuti. In pratica quindi, quello che fa non è davvero “ragionare” – per lo meno non nel modo in cui siamo abituati a pensare noi – ma, semplificando, crea testi combinando e riproponendo in maniera “realistica” la moltitudine di testi che l’uomo ha prodotto negli anni. Non è in grado di comprendere davvero una domanda (in realtà non è interessato a farlo) ma riesce comunque a rispondere. Indigo.ai ha iniziato da qualche mese e utilizzare questo strumento sulla propria piattaforma e – assicura Gianluca Maruzzella – «I risultati sono davvero sorprendenti. Non si ha quasi più bisogno di uno sviluppatore. GTP-3 ha visto in pratica tutto l’internet e in base a questa mole di informazioni cha ha memorizzato può generare testi di qualsiasi tipo. Riesce a interpretare il mondo talmente bene che, per la prima volta, riesce non solo a capire e rispondere come un essere umano, ma riesce a generalizzare. È talmente evoluto che noi lo usiamo anche per produrre degli esempi di risposte possibili con le quali istruire a sua volta i chatbot». Per ora, spiegano i tecnici, GPT-3 ha a disposizione 175 miliardi di parametri, ma – giusto per dare un ordine di grandezza – l’articolo scritto dal computer per il Guardian utilizza, come lui stesso sottolinea, solo 0,12% delle sue capacità. E se un misero 0,12% riesce a produrre un testo di fatto indistinguibile da quello prodotto dall’uomo, c’è davvero da chiedersi dove il GPT-3 (al quale seguirà un GPT 4, molto più evoluto, un 5, un 6 e così via) possa arrivare.

Un mercato in crescita

Secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano nel 2020 il mercato dell’Ai in Italia ha raggiunto il valore 300 milioni di euro (in crescita de 15% rispetto al 2019), la semplicità di utilizzo di GPT-3 e la molteplicità di ambiti nel quale può essere applicato darà un’ulteriore spinta al settore. E c’è chi – come Indigo.ai – scommette sulla nascita di una sorta di GPT-3 economy, con una serie di società che baseranno il proprio business su questo modello di linguaggio, creando app e tool che parleranno, e scriveranno, al posto nostro. Tanto che qualcuno ipotizza non solo articoli di giornale scritti da un computer ma anche campagne pubblicitarie, post sui social, o addirittura romanzi e poesie. Del resto, l’Ai si è già cimentata con l’arte visuale (https://deepdreamgenerator.com/#gallery) e con la musica (https://losttapesofthe27club.com/). Per molti può sembrare ancora fantascienza, ma come scrive il premio Nobel Josè Saramago nel suo celebre “L’uomo duplicato”, in cui il protagonista si trova a fare i conti con una misteriosa copia di se stesso: «Quello che oggi chiamiamo realtà ieri era immaginazione».