
INGEGNERE, laureato al Politecnico di Milano, poi docente al Politecnico di Milano e attualmente rettore del Politecnico di Milano e Presidente della Crui (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane). Nessuno meglio di Ferruccio Resta (a destra), 52 anni, onusto da una raccolta di incarichi accademici, tecnici e amministrativi lunga un chilometro abbondante, può spiegare il rapporto che esiste tra università e impresa, cioè tra l’intelligenza e la sua applicazione industriale.
Come nasce la relazione con le aziende?
"Il Politecnico, fin dall’inizio, nel 1863, parte dalla volontà delle imprese dell’epoca di avere un’università a Milano in grado di ascoltarle".
Quale collante vi ha permesso di proseguire per oltre un secolo su questa strada?
"All’inizio i progetti specifici. Un’azienda chiedeva una ricerca a un dipartimento, creando un rapporto con i responsabili delle singole discipline".
Funziona ancora?
"Sì, ma non basta. Da un lato i trend tecnologici, sempre più rapidi, e dall’altro le sfide dell’innovazione hanno imposto approcci multidisciplinari. Quindi una decina di anni fa abbiamo iniziato a sottoscrivere accordi quadro strategici con le realtà dei più importanti settori industriali: chimica, energia, siderurgia, meccanica, aerospazio".
Con quali vantaggi?
"Uno, fondamentale, riguarda la proprietà intellettuale di brevetti e applicazioni tecnologiche. Con l’accordo quadro si stabiliscono le regole una volta per tutte. Prima dovevamo adattare i contratti a ogni singolo progetto. Adesso stabiliamo subito chi sfrutta le royalties e in quali percentuali".
Quanti accordi avete incamerato?
"Dal 2017 al 2020 abbiamo realizzato 26 JRC, laboratori di ricerche congiunte, con grandi imprese, e raccolto finanziamenti per 19 cattedre. Abbiamo avviato progetti importanti, per esempio sul 5g con Vodafone e sulla microelettronica con Stm".
C’è un ritorno economico?
"Certo. Oggi contiamo su un migliaio di brevetti nati dalle convenzioni con le aziende".
Quanto incidono gli accordi quadro sul vostro bilancio?
"Quelli diretti con l’industria, insieme alle partecipazioni ai bandi europei con i privati, valgono circa 100 milioni di euro l’anno. Una parte sono progetti di ricerca e un’altra valorizzazione dei brevetti".
Riassumendo, calamitate fondi privati per finanziare le ricerche e alcune cattedre, fondi per lo sfruttamento dei brevetti, fondi dall’accesso ai bandi europei.
"Mi piace sottolineare che, in Europa, solo per il programma Horizon 2020 abbiamo ottenuto 185 milioni di euro in sei anni. Incidono per 30 milioni l’anno. Abbiamo partecipato a 421 progetti finanziati. Siamo l’undicesima università europea per capacità di finanziamento su Horizon 2020. E siamo pronti per il prossimo Horizon Europe".
Tutte le università parlano di progetti multidisciplinari, ma voi siete specialisti in lauree scientifiche e tecniche. Molto specifiche.
"Sì, ma per le grandi sfide che ci aspettano servono sia le competenze umanistiche che scientifiche. Nell’ambito della mobilità (nelle foto a sinistra, dall’alto: la galleria del vento e il simulatore di guida del Polimi) si devono analizzare le esigenze delle persone, e questo richiede di incrociare le competenze di un sociologo con quelle di un analista dei dati".
La mobilità è un settore un po’ particolare.
"Il concetto vale anche in altri ambiti. Per questo al Politecnico abbiamo un gruppo di ricerca che si occupa di etica delle tecnologie. Comprende filosofi e sociologi. Certo, non serve a studiare un nuovo metallo, ma se si tratta di salute, mobilità, urbanistica, design, la tecnologia supporta le scienze umane piuttosto che viceversa. Gli algoritmi che guideranno i robot vanno affrontati anche con competenze umanistiche".
Come vi supporta la macchina amministrativa?
"Per gestire i rapporti con le imprese abbiamo l’ufficio Corporate Relations, e il TTO, Technology Transfert Office, che si occupa di protezione intellettuale di brevetti, marchi, software".
Scienza e burocrazia vanno d’accordo?
"Per fare funzionare il Politecnico servono due elementi importanti: ottimi ricercatori, in grado di indirizzare i progetti, e altissime professionalità nel personale tecnico amministrativo. Noi le abbiamo entrambe. Anche perché non si possono vincere i bandi se si impiegano settimane per fare preventivi o dare risposte alle imprese".
Cosa fate per piccole aziende e start up?
"Il nostro incubatore, PoliHub, comprende 120 start up. Siamo parecchio orgogliosi del fondo di venture capital Polimi 360, recentemente costituito, che vanta una dotazione di 50 milioni di euro. Supporta la crescita delle start up, crea opportunità per i nostri laureati e i nostri ricercatori".
Lo avete finanziato direttamente?
"No, ci hanno investito Cdp, il Fei e una serie di imprese a noi vicine. Un terzo per uno. Ne beneficiano i ricercatori, l’università, e le aziende partner".
Cosa vede nel vostro prossimo futuro?
"Vogliamo migliorarci sempre: estendere a livello internazionale sia i progetti di ricerca che di innovazione. Aumentare il numero dei programmi con le imprese, intercettando le esigenze delle persone e fornendo alle aziende gli strumenti per leggere quei bisogni e cogliere le opportunità relative. Sviluppo sostenibile e responsabilità sociale sono le sfide dei prossimi anni. Per tutti".