Bises
In un’epoca in cui in digitale i flussi di parole, frasi, abbreviazioni e informazioni rappresentano una quotidianità veloce e istantanea, sempre più il ritorno alla scrittura a mano invece è un lasso di tempo lento e aggraziato per cui si pesa il gesto e il significato stesso di quello che viene fissato grazie all’inchiostro. La mia generazione è cresciuta con gli ultimi sprazzi di questa cura calligrafica, a scuola insegnavano come comporre una lettera, come tenere un diario e i temi di italiano prevedevano una brutta e una bella da consegnare immacolata sui leggendari fogli protocollo. Affascinato ma anche propenso alla scrittura a mano la mia vita è tutta un appunto, un taccuino, un pensiero improvvisato su pagine scarabocchiate e sono uno dei pochi reduci che ancora scrive e imbuca lettere che potrebbero non arrivare mai. In tal proposito il nuovo libro di Laura Imai Messina “Tutti gli indirizzi perduti” edito da Einaudi racconta proprio del rapporto simbiotico della protagonista con la corrispondenza, con il valore intrinseco di una lettera e questa passione trasmessa dal padre postino la porterà sull’isola giapponese di Awashima. Qui si trova “L’ufficio postale alla deriva” che raccoglie le lettere che non hanno destinatario, portate dal mare dei sentimenti, colme di parole d’amore, d’odio o rammarico per chi non c’è più, per un legame non corrisposto, a un indirizzo che non esiste perché divorato dal tempo. Un racconto soave miscelato dalla sensazione che la scrittura a mano rievochi fantasmi del passato sapendo come placare il loro riaffiorare, tamponando le ferite anche senza ricevere una risposta. Laura ha chiesto ai suoi lettori di scrivere una lettera spedendola all’ufficio degli indirizzi perduti e ne sono arrivate centinaia alla casa editrice; chi scegliendo un bel francobollo, chi una raccomandata per esser certo che arrivasse, chi l’ha chiusa con ceralacca e ha affidato alla carta un messaggio intimo e catartico. D’altronde scrivere è questo: terapia e cura.