
Vasco Brondi (40 anni) porta sul palco le canzoni di “Costellazioni“, il disco de Le Luci della Centrale Elettrica uscito nel 2014
"Ogni tanto le imprese che mi passano per la mente mi si ritorcono contro", ammette Vasco Brondi tra una prova e l’altra del concerto di “Costellazioni”, l’album delle Luci della Centrale Elettrica che ripropone domani sera all’Alcatraz nel decennale della pubblicazione. Il concerto sarà aperto da Francamente, cantautrice torinese (Francesca Siano), appena uscita da X-Factor. "Si tratta di un unico show, ma il lavoro di preparazione è come quello di un tour. Per me è fondamentale fare cose che m’entusiasmano, che mi fanno fare le scintille". Fra queste pure la sorpresa di affidare due canzoni di quel disco, “I destini generali” e “Ti vendi bene” a Cosmo e a Whitemary, per reinventarle a modo loro.
Che sapore ha questo decennale?
"Ancora oggi considero ‘Costellazioni’ un momento molto importante del mio fare musica. Arrivò, infatti, dopo due dischi per chitarra e voce, o quasi, in cui mi ero limitato a raccontare storie racchiuse nei quattro chilometri quadrati di una città di provincia. ‘Canzoni da spiaggia deturpata’ e ‘Per ora noi la chiameremo felicità’ li avevo registrato praticamente in apnea, appena dopo aver lasciato il bar in cui lavoravo dall’età di 17 anni ed essermi buttato anima e cuore nei concerti. ‘Costellazioni’ cambiò le regole del gioco facendo entrare nella mia vita artistica, fra l’altro, musicisti con cui suono ancora oggi".
All’Alcatraz eseguirà il repertorio di “Costellazioni” per intero?
"Sì, anche se non nell’ordine che ha nell’album. ‘Costellazioni’ troverà spazio nella prima parte dello spettacolo, lasciando alla seconda, invece, canzoni scritte tra il 2008 e il 2024 affini d’animo alle sue".
Tornando a dieci anni fa, cosa ricorda delle registrazioni di quel disco?
"Innanzitutto, l’entusiasmo e l’energia delle sue 15 canzoni, ma anche l’esperienza accumulata nella registrazione dei due lavori precedenti e i 300 concerti con cui li promossi. Per un trentenne come me, non proprio cosa da poco. E questo credo che nelle canzoni si avverta, così come si avverte la grande voglia di sperimentare assieme ad amici come Federico Dragogna dei Ministri che sarà con noi pure sul palco dell’Alcatraz".
Quando dice “noi” a chi si riferisce?
"Alla band che m’ha accompagnato in questi ultimi anni, a cominciare da Rodrigo D’Erasmo degli Afterhours. In fondo Le Luci della Centrale Elettrica ha sempre avuto l’aspetto di un collettivo che gravitava attorno ai miei progetti".
Soddisfatto?
"Il concerto dell’Alcatraz è quasi sold-out e non ci avrei scommesso dopo la quarantina di date (tre solo ai Magazzini Generali) in agenda quest’anno. Ecco perché nel 2025 ho intenzione di starmene defilato a scrivere il successore del mio ultimo album ‘Un segno di vita’".
Dove andrà a cercare ispirazione?
"Tornerò in India, magari a Varanasi e, da appassionato di meditazione, a Bodh Gaya, il luogo in cui Buddha ebbe l’illuminazione. Si tratta di un viaggio che aspetto di fare da sempre. Così come aspetto da tanto l’opportunità di andarmene a camminare sul cratere dell’Etna".
In questo momento lei è pure al cinema grazie ad “Ascoltare gli alberi”, colonna sonora del film “Fiore mio”, debutto dello scrittore Paolo Cognetti dietro alla macchina da presa.
"Per la prima volta nelle mie composizioni ho provato a far parlare solo le note. Ed è stata un’impresa. M’è tornato alla mente Fabrizio De André che considerava la musica un tram per portare in giro le parole. Anche per me è così. È stato interessante lavorare sul mezzo di trasporto piuttosto che sui trasportati".
“Fiore mio” racconta l’amore di Cognetti per il Monte Rosa.
"Visto che il film e le musiche sono state pensate, scritte e registrate in alta montagna, è stato bello trasformare il contenitore in contenuto. Come dico in una canzone che eseguiremo pure domani all’Alcatraz, quelle cime ci mettono nella giusta proporzione, rendendoci minuscoli e fragili dinanzi alla loro imponenza. E questo fa bene pure alle canzoni, che portano dentro di loro, oltre all’aria dei nostri anni, la scintilla di qualcosa di più duraturo che c’era prima di noi e ci sarà pure dopo".