Giacomo Poretti: "Io, ex infermiere, vi racconto la corsia"

Poretti, del trio “Aldo, Giovanni e Giacomo” al Lazzaretto di Bergamo con “Chiedimi se sono di turno”

Giacomo Poretti

Giacomo Poretti

Milano, 27 agosto 2020 -“Chiedimi se sono di turno” (regia di Andrea Chiodi) è il monologo introspettivo ed ironico, recitato da Giacomo Poretti, il noto attore del trio Aldo, Giovanni e Giacomo, che calcherà le tavole del palcoscenico di Lazzaretto on stage, a Bergamo, domani e sabato, alle 21.30, in occasione della festività di Sant’Alessandro, rendendo omaggio alla città, che più di ogni altra ha combattuto e sofferto nei mesi scorsi. «Molte motivazioni mi hanno indotto a parlare dell’ambiente ospedaliero», sostiene il comico. «È fecondo di tanti spunti di riflessione, legati alla malattia, alla fragilità delle persone, alla morte, al lavoro particolare svolto dagli operatori sanitari».

I punti salienti dello show? «Descrivo l’esperienza di un infermiere nell’atto di entrare in un ospedale: quasi necessariamente deve prestare servizio in tutti i reparti, a contatto con malati diversi. Ma anche la prima volta in cui deve fare un’iniezione intramuscolare, cosa che sembra una banalità, ma può rivelarsi tragicomica. Negli anni ’70-’80, avendo lavorato in un nosocomio, ricordo l’era del vetro, siringhe comprese, ora sostituite da quelle monouso in plastica. Quindi, ripercorro anche i cambiamenti avvenuti nell’uso di alcuni strumenti sanitari».

Quanta influenza ha avuto sul monologo la sua esperienza da infermiere? «È stata decisiva. La maggioranza delle cose raccontate sono autobiografiche, anche se in parte distorte dall’immaginazione. Comunque, se non avessi mai prestato quel servizio, penso che non sarei riuscito a dar vita al testo proposto».

Che è stato rivisitato, con l’aggiunta anche del problema Covid… «Mi è sembrato quasi doveroso parlarne, dopo l’interruzione dello spettacolo, nel febbraio scorso, per la diffusione del virus. Non sono entrato nel dettaglio riguardo alla malattia, ma ho voluto mettere in risalto come è stata vissuta dalla gente. È provocata da un virus sconosciuto, misterioso, non dico incurabile, ma presenta, però, difficoltà terapeutiche».

Lei è stato colpito dal Covid: come si previene e supera un’esperienza così difficile? «Quando si guarisce, gran parte della paura e delle preoccupazioni vissute svaniscono. Per evitare di ammalarsi è fondamentale usare molta cautela ed attenersi alle regole prescritte».

Il teatro rischia di uscire con le ossa rotte da quanto accaduto. Cosa si potrebbe fare? «La maggior parte dei teatri italiani ne soffrirà parzialmente, in quanto sovvenzionati dalle istituzioni, a differenza di quelli privati. Ci si augura che questi ultimi siano sostenuti economicamente dagli sponsor, ma anche dagli enti pubblici».

Tornando alla sua carriera quali episodi ricorda con più piacere? «Il debutto teatrale con Aldo e Giovanni. Ma anche il primo film e la trasmissione “Mai dire Gol”, che ci portò al successo e ci consacrò come artisti: la gente e i media cominciarono a parlare di noi».

E qualcosa di spiritoso? «Durante le riprese del film “Chiedimi se sono felice”, in Piazza Mercanti, a Milano, i miei partner ed io giocammo a pallacanestro, servendoci dell’aureola piegata della statua di San Francesco, portata sul set per le riprese. Ricordo che all’ennesimo canestro, in una schiacciata, si ruppe il naso del Santo e… scappammo».

Mentre lo sketch che l’ha fatta più ridere? «Quello relativo ad un team di medici. Giovanni, il primario arrogante, ma poco capace sul campo, Aldo, il medico svagato ed io, il dottor precisino, che faceva arrabbiare il primario. Il tutto era esilarante».

Qual è un pregio e difetto di Giacomo Poretti? «Sono un po’ testardo. Il mio pregio, invece, è la curiosità, che mi consente di scoprire e analizzare persone e cose».

La comicità di oggi? «È più cinica e pungente rispetto ad un decennio fa, quando era più giocosa e gioiosa».