ANNA MANGIAROTTI
Cultura e Spettacoli

"La mia Grande Brera". Il progetto di James Bradburne

Il direttore del museo dopo l'inaugurazione della Porta delle Meraviglie

In alto la "Porta delle meraviglie" a Brera (Newpress)

Milano, 14 ottobre 2016 - La prima volta che James Bradburne, da turista, salì lo scalone del Palazzo di Brera, per ammirare al primo piano Mantegna e il grande telero dei Bellini, che mette insieme cristiani e musulmani, rimase sorpreso. L’ingresso non era attraverso la porta identificata dalla scritta «Pinacoteca di Brera», ma da tutt’altra parte. Ieri, a un anno dall’insediamento alla direzione del Museo e della Biblioteca Braidense, ha invitato il sindaco Giuseppe Sala e il ministro Dario Franceschini a tagliare il nastro di questa «Porta delle Meraviglie», sovrastata dallo storico orologio. Che ha ripreso a battere l’ora con il suono delle sue campane.

Si cambia musica, dottor Bradburne?

«Spalancare per la prima volta, dopo 113 anni, la porta che dà accesso (come previsto nella pianta del 1907) direttamente alla magnifica Sala Teresiana della Biblioteca, e al percorso espositivo, è un atto simbolico. Un abbraccio tra le istituzioni di Brera. Un abbraccio alla città».

Note dissonanti, le polemiche sollevate dai coinquilini del Palazzo sulla stampa qualche giorno fa. Come spiegarle?

«Da straniero, sono forse un po’ ingenuo: il rinfocolarsi di sospetti e indignazione mi ha, ancora, lievemente, sorpreso. Ma a parte l’aspetto sportivo (la polemica come sport nazionale), se c’è stato un fraintendimento linguistico, e io ho qualche responsabilità, me la prendo. Sulla «Grande Brera» però sono sempre stato chiaro: è la visione di Franco Russoli (leggendario soprintendente degli anni Settanta ndr), che io voglio portare a compimento. Qualcuno invece ha confuso «Grande Brera» con il trasferimento dell’Accademia di Brera alle ex-caserme di via Mascheroni».

Fin dall’inizio del suo mandato effettivamente ha detto di non avere intenzione di cacciare gli studenti...

«E lo dico ancora più forte: l’Accademia può stare qui altri 100 anni. Ma la maggior parte dei docenti sente l’esigenza di un campus moderno, e di aule ampie, per sperimentare le nuove tecnologie applicate all’arte contemporanea. Ecco, ragazzi, se volete, il Ministero della Cultura (non dell’Istruzione) ha stanziato 40 milioni di euro anche per riconvertire a questa destinazione le caserme. Ma nessuna decisione è stata presa sulla testa di nessuno».

Ne state discutendo?

«Certo, le varie possibilità sono contemplate in una bozza. Niente di definitivo. Nessuno vuole spodestare neppure l’Istituto Lombardo accademia di scienze e lettere dei suoi diritti imperiali e dei suoi locali».

Comunque si aprirà una caffetteria? E un bookshop? E l’ingresso da via Fiori Chiari 4?

«Sì, sì, sì. Ma la riqualificazione dell’edificio e del cortile napoleonico non significa «Grande Brera». In discussione non è la spostamento dei pezzi su una scacchiera, ma l’idea di museo vivente nella società, come lo intendeva Russoli, quando progettò di estendere Brera all’adiacente Palazzo Citterio, accogliendo anche l’arte moderna, le collezioni Jesi, Jucker, Vitali e (ora ci concedono in prestito) la collezione Mattioli. I lavori nel cantiere di Palazzo Citterio proseguono a ritmo serrato. Se non interverrà un terremoto o una guerra, lo aprirò nel 2018. Il pezzo chiave di un sogno: Grande Brera nella Grande Milano».