L’associazione che cura gli uomini violenti con le donne: “L’emergenza sono i giovanissimi”

Brescia, lo psicoterapeuta di Cerchio degli Uomini: “All’inizio solo scuse, ci vogliono mesi per far emergere la rabbia. Spesso però i violenti dopo il trattamento spariscono”

A Brescia c'è un'associazione che cura gli uomini responsabili di maltrattamenti e violenze

A Brescia c'è un'associazione che cura gli uomini responsabili di maltrattamenti e violenze

Brescia – Non ci sta a sentir parlare di “gelosia” o “raptus” quale motivazione di un delitto orrendo, Bruno Barbieri, psicologo, psicoterapeuta e presidente del Cerchio degli uomini di Brescia. "Un padre che ammazza la figlia di 16 anni, tenta di uccidere la moglie e il figlio di soli 5 anni non è un uomo geloso ma un uomo violento: non è un raptus di gelosia è criminalità", commenta, in riferimento all’ultimo caso dell’omicidio di Torremaggiore. Per chi, come il Cerchio degli uomini, si occupa di seguire uomini che hanno agito violenza, le parole sono importanti e sono una parte del problema della violenza di genere. 

“Gli uomini che vengono da noi si nascondono dietro frasi quali ‘è la donna che provoca’, ‘è lei che tradisce’. Ci vogliono mesi prima di farli parlare della rabbia, prima di riuscire a guardarsi dentro. Bisogna scardinare questo meccanismo, a partire dal linguaggio, che rischia altrimenti di giustificare questi atti".

Altro timore è che di fronte all’ennesimo caso di violenza si faccia molta retorica destinata a finire nel nulla, mentre servirebbe metter risorse, economiche e umane, nella presa in carico delle persone che agiscono violenza. A Brescia, ad esempio, il Cerchio degli uomini è l’unica realtà che se ne occupa, attraverso volontari (2 psicoterapeuti, una psicoterapeuta ed una psicologa), che seguono uomini con condanne inferiori a due anni per reati da Codice rosso: la norma prevede, infatti, la sospensione condizionale della pena subordinata a percorsi di recupero.

"A Brescia siamo punto di riferimento anche per Mantova e Cremona, che fanno parte del distretto del Tribunale. Abbiamo una lista d’attesa di un paio di mesi e richieste pressanti e continue, perché siamo contattati, a volte anche a ridosso della data di udienza, da chi vuole accedere a pene alternative".

Questo meccanismo innesca, però, un circolo non sempre virtuoso. "Quando l’associazione è nata a Brescia, 10 anni fa, arrivavano persone che chiedevano aiuto perché avevano agito con violenza o sentivano di poterlo fare. Adesso ne vediamo pochi che ‘riflettono’. Le nostro statistiche empiriche ci dicono che un 20% riusciamo ad agganciarli e fanno un buon percorso. Tanti qualche cambiamento ce l’hanno, ma quando scadono i 6, 9 mesi prescritti dal giudice, tante volte non li vediamo più". All’associazione iniziano anche ad arrivare donne autrici di violenza e giovanissimi, per lo più denunciati per stalking.

"Quello dei giovani – sottolinea Barbieri – è un tema che sta emergendo, molto grosso. Tuttavia sono un altro mondo rispetto agli adulti, dovrebbero esserci percorsi diversi". Per questo servirebbero risorse, che ad oggi non ci sono (sembrava che potessero arrivare dei finanziamenti regionali, ma per ora nulla si è mosso) ma anche una presa in carico di queste persone da parte del pubblico, senza demandare questioni così delicate all’associazionismo.