La condanna per la Taroni doveva essere l’ergastolo

"Fu errato il calcolo della pena effettuato in primo grado": parole severe nella motivazione della sentenza d’Appello che ha confermato i 30 anni all’infermiera

La lettura della sentenza al processo d’Appello a carico di Laura Taroni

La lettura della sentenza al processo d’Appello a carico di Laura Taroni

Milano - Laura Taroni doveva essere condannata all’ergastolo. Fu "errato il calcolo della pena effettuato in primo grado". "La pena che avrebbe dovuto irrogare il giudice di primo grado in relazione ai due ergastoli anche ritenuti in continuazione è quella dell’ergastolo con isolamento diurno. Con la conseguenza che la riduzione per il rito (abbreviato, ndr) avrebbe comportato l’applicazione dell’ergastolo senza isolamento diurno... Il divieto di “reformatio in peius” in difetto di appello del Pg impedisce tuttavia di modificare in senso deteriore la minor pena di anni 30 inflitta in primo grado che va pertanto confermata". Sono severe le parole del presidente estensore Valeria De Risi nella motivazione della sentenza con cui, lo scorso 12 febbraio, la seconda Corte d’Assise d’appello di Milano ha confermato la condanna di Laura Taroni. Per l’ex infermiera di Lomazzo, riconosciuta sana di mente, sono stati ribaditi trent’anni di reclusione per l’omicidio del marito, Massimo Guerra, e quello della madre, Maria Rita Clerici. Provocati entrambi, secondo l’accusa, con un combinato letale di farmaci. Movente l’odio per il marito, ormai ostacolo troppo ingombrante alla relazione con il medico Leonardo Cazzaniga, "eletto a uomo della sua vita", e l’odio antico nei confronti della madre, riacutizzato dall’aperta ostilità della donna alla relazione della figlia con l’aiuto primario del pronto soccorso di Saronno. "La personalità della Taroni - è un altro dei passaggi conclusivi delle 125 pagine della motivazione - si manifesta come personalità assolutamente spregiudicata, adusa a controllare la vita e la morte delle persone a lei vicine e a considerare la concreta possibilità di risolvere le problematiche familiari con i componenti anziani ancora in vita". Massimo Guerra, un uomo sano, vigoroso, muore a 46 anni sul divano della sua abitazione, il 30 giugno del 2013, dopo malesseri e ricoveri in ospedale e dopo essersi trovato per due volte in pericolo di vita, per arresto cardiaco e per scompenso glicemico.

La fine giunge al termine di un penoso, inarrestabile processo di decadimento fisico provocato dalla moglie con l’apporto complice dell’amante. La Corte milanese non ha accolto la tesi della difesa che "nelle intenzioni dell’imputata la somministrazione dei farmaci era finalizzata a frenare la libido del marito e a sottrarsi ai suoi abusi sessuali". A proposito degli episodi che precedono la morte, la sentenza annota che le condotte della Taroni "rubricate come lesioni personali aggravate avrebbero potuto essere più correttamente inquadrate nella fattispecie di tentato omicidio". Infermiera di provata esperienza, era "pienamente consapevole dell’efficacia della potenzialità mortale dei farmaci che usava". Maria Rita Clerici, madre della Taroni, una donna ancora giovane (61 anni), in buona salute fino a poche ore prima, muore in casa della figlia, il 4 gennaio 2014. Per questa morte Leonardo Cazzaniga è stato assolto per non avere commesso il fatto. Per la Taroni i giudici dell’appello hanno escluso l’aggravante della premeditazione in quanto non è "dimostrato che tra l’insorgenza del proposito criminoso e la sua realizzazione sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo, che il delitto sia stato pianificato anticipatamente e non commesso in maniera estemporanea".