Centrale, pusher e ladri: c’è un angolo per tutti. La geografia della disperazione

Borseggiatrici dentro e spacciatori fuori. Clochard in piazza Luigi di Savoia. Un posto anche a rider e skater

Stazione Centrale, la geografia della disperazione

Stazione Centrale, la geografia della disperazione

La Stazione Centrale di Milano ha un dentro e un fuori. Il centro commerciale interno è dei viaggiatori e dei turisti, le borseggiatrici seriali devono vestirsi bene per confondersi e la disperazione è in minoranza: i biglietti on line hanno levato il lavoro a chi chiedeva monete offrendo supporto alle macchinette, semideserte nel traffico umano che neppure l’aria immobile di una delle domeniche più calde dell’anno può frenare, e l’uomo che fissa il vuoto su un gradino cerca di farsi notare il meno possibile; comunque, nessuno lo guarda.

Terra di Mezzo

La Galleria delle Carrozze, dalla quale si ottiene il primo scorcio di Milano col Pirellone sulla destra, è una terra di mezzo in cui non è una valigia a distinguere chi ha un dove andare e chi sta lì per mancanza d’alternative. O per i traffici d’ogni tipo che si consumano nei paraggi della stazione: furti, rapine, spaccio, a scorrere i bilanci degli ultimi controlli delle forze dell’ordine (24 i Daspo urbani solo nella seconda settimana di luglio).

Il "fuori stazione"

Il “fuori stazione” arriva a lambire lo shopping di corso Buenos Aires, quando risse e rapinatori dilagano fino in Benedetto Marcello che ora è deserta, a parte un uomo con un nido di capelli che ride abbracciato a una bottiglia di birra (un investigatore di lungo corso in questa zona raccontava: "Spesso più di noi servirebbero gli psichiatri"). Sul fianco di piazza Luigi di Savoia, i bus diretti agli aeroporti sfilano accanto ai giardini recintati con un nome bellissimo - “delle bambine e dei bambini di tutto il mondo” -, ma di bambini neanche l’ombra, e la fontana è asciutta.

Piazza Duca D'Aosta L’accampamento da lì s’è trasferito sul fronte stazione, quella piazza Duca d’Aosta che i viaggiatori attraversano a passo svelto anche senza questo sole a picco: a Nord-Ovest la camionetta della polizia e il gazebo dei militari e, alle loro spalle, un uomo abbattuto su un materasso nello spicchio d’ombra di un albero, altri intorno a un misero pic nic. È anche il lato dei giovanissimi che saltano tra i passanti con lo skateboard, impermeabili ai quaranta gradi percepiti, e della Mela di Pistoletto, stazione di posta per rider in attesa di chiamata sotto la quale i bivacchi hanno smesso ormai di dare pubblico scandalo.

Verso Vittor Pisani Ma è l’altro lato della piazza, presidiato solo da un paio di chioschi assediati a ogni ora, il più popolato: quasi ogni pianta ha una o più persone accasciate ai piedi, tra ripari di fortuna e panni stesi che s’allargano in dépendance sull’aiuola a mezzaluna all’attacco di via Vittor Pisani. La fontana è il lavatoio di questo borgo dell’emarginazione, un anziano sciacqua meticolosamente le sue cose (e i piedi) prima d’esser sloggiato da un ragazzo che vuol bagnare la maglietta. Più vicino alla stazione, tra un campionario di monopattini d’ogni compagnia di sharing , gruppi di giovani soprattutto africani passano il tempo. Basta uno scatto di corsa o il rumore di una bottiglia che si rompe a far girare le teste, in questa calma solo apparente in cui una lite può degenerare in rissa a calci e sangue che fa il giro dei social, come venerdì sera, o limitarsi a svegliare un tizio sdraiato al sole, che fa: "Buongiorno Milano!"