Tragedia Mottarone, un anno fa quattordici vittime. Si attende ancora la verità

Sulla fune traente che si è spezzata e su altre parti della cabina 3 precipitata al suolo verrà depositato l’esito della perizia entro il prossimo mese. Quattordici gli indagati

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di Andrea Gianni

Della cabina numero tre restano i rottami, sezionati ed esaminati in tutte le loro componenti. Il moncone della fune traente d’acciaio, che si è spezzata alla distanza di circa 40 centimetri dalla “testa fusa“, sta aiutando a ricostruire quello che è successo la mattina del 23 maggio 2021, quando 14 persone uscite di casa per una gita sul Mottarone hanno perso la vita. Le indagini, ancora in corso, puntano su carenze nei controlli periodici sull’impianto, che forse avrebbero potuto evitare il disastro. Inoltre se i freni d’emergenza fossero stati attivati regolarmente, invece di essere disinnescati inserendo un “forchettone“, forse l’incidente si sarebbe risolto solo con un trauma per i passeggeri. Un insieme di fattori dietro a un evento definito dai tecnici guidati dal professor Antonello De Luca come "eccezionale" per la sua rarità. Il tratto di fune che si è spezzato, avvolto da un “carter“ che doveva essere ingrassato ogni tre mesi inserendo lubrificante, avrebbe subito per quasi cinque anni gli effetti di una lenta corrosione interna, fino a spezzarsi facendo precipitare la cabina. Corrosione che potrebbe essere dovuta a una infiltrazione di acqua, oppure ai residui del cloruro di zinco usato per la realizzazione della testa fusa. Il capo servizio Gabriele Tadini, interrogato dal procuratore di Verbania Olimpia Bossi e dal pm Laura Carrera (titolari dell’inchiesta a carico di 14 indagati, fra cui l’imprenditore Luigi Nerini, Tadini e la società Leitner, per omicidio colposo plurimo e altri reati), ha spiegato di non aver mai assistito ad alcuna attività di "smontaggio del manicotto", che quindi nel tratto che si è spezzato non veniva monitorato ma solo ingrassato periodicamente con il lubrificante.

A chi spettavano i controlli? Secondo Tadini, alla Leitner di Vipiteno che aveva firmato un contratto da 150mila euro all’anno per la manutenzione dell’impianto, subappaltando alcuni compiti ad aziende locali. Il legale di Enrico Perocchio, direttore di esercizio e dipendente Leitner (anche lui indagato), citando il “decreto funi“ del 2017 sostiene invece che doveva essere Tadini a occuparsi ogni mese dei controlli di routine sulla fune, chiedendo poi un intervento nel caso di anomalie. Il ministero dei Trasporti, con l’ente preposto, doveva invece effettuare un sopralluogo annuale. Il registro-giornale dell’impianto veniva compilato, ma forse non con l’accuratezza necessaria. Sui fogli, infatti, non sarebbe stato neanche annotato un guasto che si è verificato il 22 maggio 2021, un giorno prima della tragedia. Una matassa che dovrà essere sbrogliata entro il 30 giugno, termine per depositare nell’ufficio del gip Annalisa Palomba – a meno di proroghe – i risultati delle perizie.