Processo Piccolomo: la carambola e il rogo mortale, ma l’auto non ha un graffio

I testi smentiscono l'uomo accusato dell'omicidio della prima moglie

La foto di un giovane Piccolomo con la moglie morta in circostanze strane

La foto di un giovane Piccolomo con la moglie morta in circostanze strane

Varese, 29 settembre 2018 -  «L’auto non sembrava danneggiata. Almeno non come una macchina ribaltatasi dopo essere uscita di strada». Antonio Maci, titolare della carrozzeria di Caravate, per 10 anni ha avuto in custodia la Volvo dove arse viva Marisa Maldera, prima moglie di Giuseppe Pippo Piccolomo, già all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio di Carla Molinari nel 2009 a Cocquio Trevisago.

Ieri è stato sentito davanti alla Corte d’Assise di Varese presieduta da Orazio Muscato nel processo a Piccolomo per l’omicidio volontario della prima moglie, spinto - secondo la procura - da motivi economici e passionali. Maldera morì a Caravate in uno strano incidente stradale nel febbraio 2003. Il marito raccontò di una carambola con l’auto. Nell’abitacolo c’era una tanica di benzina da 10 litri piena per trequarti. La Volvo sbandò, si ribaltò, prese fuoco e Maldera, che secondo il marito stava fumando, morì. Lui, invece, uscì illeso. Ad accusarlo, pure le due figlie Tina e Cinzia che da 15 anni sostengono che quello non fu incidente ma omicidio.

E anche ieri in aula i testi hanno messo in discussione il racconto di Piccolomo. «Tutte le portiere si aprivano – ha detto il carrozziere – tranne quella del passeggero anteriore». Forse lo sportello era stato deformato dal calore? Nell’ottobre 2016 la procura generale di Milano mise in atto un esperimento giudiziario nella cava Colacem di Cittiglio. Furono incendiate tre Volvo identiche a quelle dove Maldera trovò la morte: «La portiera del passeggero – ha spiegato Armando De Rosa, ingegnere dei vigili del Fuoco e perito d’accusa – non si apriva a incendio spento soltanto se bloccata dalla sicura». Maldera aveva il tempo di lasciare l’auto. Perché non lo ha fatto? Per l’accusa perché Piccolomo le aveva somministrato tranquillanti (trovati in minima parte nel corpo della donna) per stordirla. «Inoltre – ha concluso De Rosa – la sigaretta non avrebbe potuto incendiare i vapori liberati dalla tanica aperta». Si torna in aula il 29 ottobre.