Ghiacciai, il patrimonio perduto: "Così anneriscono e scompaiono"

Il “Catasto“ della Statale di Milano: in 10 anni perso il 16% della coltre bianca. E i detriti accelerano i danni

Valmalenco 1899 e 2020

Valmalenco 1899 e 2020

Milano - In dieci anni si sono “ristretti“ del 16 per cento, ogni anno si assottigliano di un metro e venti e sono sempre più neri. Sono duecento i ghiacciai in Lombardia - dei 903 che si trovano in Italia - per lo più piccolini, ma di importanza vitale per le vallate attorno e non solo. Carta d’identità e stato di salute sono nel Catasto dei ghiacciai, curato sin dal 2012 da Claudio Smiraglia dell’Università Statale di Milano, che ha passato il testimone alla glaciologa Guglielmina Diolaiuti. Un’anagrafe che oggi è confluita nel Catasto europeo. «Uno strumento fondamentale per sapere quanto si stanno riducendo i ghiacciai – sottolinea Diolaiuti –. Le immagini satellitari ad alta risoluzione ci permettono di analizzarne centinaia alla volta, nello stesso periodo, studiando intere regioni glaciali». Che sono lo specchio del pianeta, anche perché riflettono la radiazione solare del 20-30% e sono un archivio fondamentale che ci racconta l’impatto dell’uomo. «Abbiamo già perso una superficie estesa quanto il Lago Maggiore. E non solo sono sempre più piccoli, ma anche più neri», ricorda la glaciologa. Il tema dell’annerimento è sotto la lente anche dell’“High Summit Cop26” organizzato da EVK2-Minoprio che si sta tenendo questo fine settimana nel Comasco. E che ripercorre anche lo studio effettuato da giovani ricercatori della Statale guidati da Davide Fugazza che hanno analizzato i ghiacciai del Parco Nazionale dello Stelvio dagli anni ‘80 ad oggi. «Se dall’inizio del 2000 la superficie coperta da detriti e cenere era del 17%, nel 2012-2015 l’annerimento era già salito al 30% – spiegano dalla Statale –. Conseguenza: i ghiacciai riflettono sempre meno». 

Da un ulteriore studio su tutti i ghiacciai dell’arco Alpino negli ultimi 20 anni emerge come quasi il 70% di essi abbia subito un’importante riduzione della superficie riflettente. E se il messaggio non arriva forte e chiaro, ai dati scientifici si aggiungono le immagini di Fabiano Ventura che, con l’associazione Macromicro, una squadra di 50 persone, la collaborazione di 21 università e il sostegno di Fondazione Cariplo, si è messo “Sulle tracce dei ghiacciai“. Una mostra da oggi aperta alla Triennale di Milano ripercorre le prime cinque spedizioni internazionali del progetto, dal Karakorum all’Himalaya, all’orizzonte un focus sulle Alpi. Ventura cerca il punto esatto in cui sono state scattate le foto a fine Ottocento e testimonia l’evoluzione dei ghiacciai, sfidando condizioni estreme per una «comunicazione scientifica ed emozionale» dell’emergenza climatica in corso. «I nostri ghiacciai alpini si stanno riducendo di circa 1,20-1,30 metri di spessore, entro il 2050 la maggior parte non ci sarà più, rimarranno solo quelli più grandi ed elevati oltre i 4.000 metri – spiega anche il climatologo Luca Mercalli –. Funzionano come un conto in banca: di inverno abbiamo i versamenti, cioè la neve, d’estate i prelievi. Fino agli anni ’80 i conti erano in equilibrio. Ma a partire da fine anni ’80 il conto è in rosso». Un rosso che fa paura. «Anche un ghiacciaio che fonde in Lombardia – aggiunge – minaccerà Venezia e la foce del Po contribuendo all’innalzamento degli oceani di almeno 40 centimetri, il colpo è in canna, ma se non faremo nulla sarà di un metro e venti. La cura non c’è, possiamo ridurre i sintomi».