Elisabetta Canalis senza testa nello spot di intimo, il tribunale: va risarcita

Azienda di lingerie non rinnova il contratto sui diritti d’immagine e usa la foto tagliata dell’ex velina. Il giudice: trattata da manichino

Elisabetta Canalis testimonial di un marchio di lingerie

Elisabetta Canalis testimonial di un marchio di lingerie

Milano, 7 luglio 2019 -  A parere dei giudici, Elisabetta Canalis è stata trattata «alla stregua di un manichino». Per continuare a usare la bella showgirl come testimonial anche quando il contratto sui diritti d’immagine era scaduto, quelli della Lormar, azienda italiana di intimo che a suo tempo aveva ingaggiato a fini pubblicitari l’ex fidanzata di George Clooney, hanno furbescamente manipolato le sue foto. Un bel taglio dalla bocca in su e uno dall’ombelico in giù, pensavano così di aver reso irriconoscibile la modella continuando ad usare quel che restava delle foto per la loro linea di reggiseni e mutandine che si chiamava, quando si dice il caso, Eli. Ma non è tutto. Illudendosi di farla franca più facilmente, quelli della Lormar avevano cancellato dall’immagine di Canalis anche i tatuaggi che Elisabetta ha sulle braccia. Il tribunale milanese però non ha apprezzato affatto l’iniziativa. E ha condannato la società emiliana a risarcire all’attrice non solo il danno patrimoniale per l’indebito sfruttamento delle foto (130 mila euro), ma anche quello morale (30 mila) per «abusiva manipolazione dell’immagine».

Canalis aveva concesso la propria immagine di testimonial per un anno (a partire da marzo 2013 e per un compenso di 110 mila euro) alla Lormar che la utilizzò per cataloghi, cartelloni, pagine pubblicitarie e siti internet. Il problema è che la società continuò con la sua linea Eli anche dopo aver esaurito le scorte del materiale pubblicitario realizzato dalla bella Elisabetta. E per farlo senza dover versarle altri euro, ebbe per l’appunto la pensata di «elaborare» le sue foto. «Mere immagini tecniche nelle quali la modella ritratta è stata resa irriconoscibile», ha provato a difendersi nella causa con i suoi legali la ditta emiliana. Argomento che però non ha convinto il tribunale milanese, sezione specializzata in materia di imprese. Per il collegio giudicante – presidente Claudio Marangoni, a latere Alessandra Dal Moro – non solo «non è credibile che la scelta del nome Eli (per la linea di intimo pubblicizzata dal «manichino», ndr.) sia stata del tutto ‘casuale’ e dettata dalla difficoltà di reperire altri nomi femminili da associare».

Ma – si legge ancora nelle motivazioni del verdetto – «la manipolazione delle foto mediante il taglio del volto (tranne la bocca, i capelli e parte del viso) e l’eliminazione di quelle caratteristiche impresse» da Canalis «permanentemente sul corpo (i tatuaggi) con l’intenzione di darsi un’identità specifica e unica», costituiscono «un atto gravemente abusivo dell’immagine della persona». «Sembra un paradosso – osserva l’avvocato Gloria Gatti, esperta di diritto dell’arte e d’autore – ma è proprio nell’epoca delle scelte a tempo che il tatuaggio si impone invece come simbolo del ‘per sempre’. Con il tatuaggio la persona trasforma in maniera permanente il proprio corpo e così la percezione dell’immagine di sé che vuole esprimere verso il mondo esterno».