Né scuola, né lavoro, né prospettive: in Lombardia a rischio disagio 60mila giovani

L’11% dei ragazzi fra i 18 e i 24 anni lontani dai banchi. Obiettivo Ue il 10% nel 2020, preoccupano i maschi

Due studentesse davanti ai quadri a scuola (foto d’archivio)

Due studentesse davanti ai quadri a scuola (foto d’archivio)

Milano -  Meglio che in passato , ma sulla dispersione scolastica c’è ancora molto da fare. Entro il 2030 si dovrà raggiungere l’obiettivo europeo del 9% di giovani tra i 18 e 24 anni che abbandonano precocemente la scuola, fermandosi alla terza media (Elet, Early leavers from education and training). Per ora la Lombardia è ferma a quota 11,9% (14,4% maschi, 9,1% femmine), per cui c’è da recuperare il ritardo rispetto alla media europea del 9,9% e all’obiettivo del 10% che si sarebbe dovuto raggiungere entro il 2020. Rispetto al passato c’è stata un netto miglioramento: basti pensare che nel 2008 la quota di giovani usciti precocemente dal sistema scolastico era del 19,5%. Tuttavia, dall’elaborazione dei dati Istat fatta dall’Osservatorio conti pubblici dell’Università Cattolica, emerge che la Lombardia è sotto la media italiana del 13,1%, ma lontana da Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Molise, Emilia Romagna e Marche, che sono sotto il 10%.

Guardando ai valori assoluti, nel complesso, a livello regionale parliamo di circa 60mila giovani che rischiano di passare da Elet a Neet (Not in education, employment or training), perché, senza diploma faticano anche ad entrare nel mondo del lavoro. "L’obiettivo previso per il 2020 non è stato raggiunto, ma questo è accaduto per la metà degli Stati Membri dell’Unione – spiega Augusta Celada, direttore generale dell’Ufficio scolastico di Regione Lombardia –. Sul piano qualitativo, la pandemia non ha giovato alle misure di anti-dispersione messe in atto dalle scuole, che in questi ultimi anni hanno fatto molto. C’è anche una dispersione post-diploma, che non emerge nelle statistiche, ma che pure va ad alimentare il numero dei Neet".

Come evitare che i ragazzi si perdano per strada? "Un buon orientamento può fare da argine, ma ci sono ragioni che esulano dall’ambiente scolastico, di natura sociale, di difficoltà di collocamento in ambito familiare. La dispersione tocca molto anche gli alunni non italofoni, le seconde generazioni o che sono soggetti a cambiare frequentemente i luoghi di studio. Tra le cittadinanze non italiane, in alcuni casi c’è anche un fattore culturale, per cui la famiglia non è detto che veda il completamento del percorso di studi come strumento per la realizzazione dei giovani". Grazie anche ai fondi del Pnrr si lavorerà su due fronti in particolare: orientamento ed inclusione. "Per quest’ultima, si intende soprattutto l’inclusione dei bisogni educativi speciali, cioè tutte le quelle forme di inadeguatezza rispetto al percorso scolastico, per svantaggio sociale, personale o, difficoltà di alfabetizzazione pregressa".