Stress da coronavirus, uffici e case ad alta tensione: "Boom di liti"

L’esperta di mediazione: prima del conflitto va guarita la relazione. È il momento di investire nella formazione

Maria Martello, formatrice alla mediazione: opera come mediatore a Monza

Maria Martello, formatrice alla mediazione: opera come mediatore a Monza

Milano, 20 maggio 2020 - Liti tra colleghi . Manager che faticano a relazionarsi con la forza lavoro. Case ad alta tensione. Maria Martello, formatrice alla mediazione per la risoluzione dei conflitti secondo il modello umanistico-filosofico di cui è ideatrice, li raccoglie sotto un’unica categoria: "i micro-conflitti" spiega l’ex giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni e la Corte d’Appello di Milano, mediatore a Monza e autrice tra gli altri dei volumi “La formazione del mediatore“ (Utet) e “Mediatore di successo“ (Giuffrè). "Con lo scenario che stiamo vivendo a causa del coronavirus aumenteranno: non saranno “degni“ di finire davanti a un giudice ma avvelenano la nostra vita".

Qualche esempio recente? "Due colleghe. La loro relazione si manteneva nel canale della buona educazione. Ma tra loro c’era un non detto che rendeva il rapporto insopportabile. Ho assistito alla mediazione secondo il modello filosofico-umanistico e sono riuscite da ascoltarsi. La mediazione ha come primo scopo questo: ascoltandosi hanno capito di essere semplicemente diverse tra loro. L’hanno accettato come risorsa".

È diffuso il ricorso alla mediazione? "Dobbiamo distinguere: c’è una mediazione obbligata introdotta nel 2011 come passo necessario prima di arrivare davanti al giudice. E quella volontaria: in questo caso è una scelta di due attori che hanno capito quanto sia importante bonificare una relazione prima di risolvere l’oggetto della lite. All’interno dell’ambito familiare è entrata nella mentalità comune: non mi riferisco solo ai casi di separazione o a partner che si lasciano e vogliono riuscire a rimanere genitori verso i loro figli, ma anche a situazioni di successione ereditaria. Dove prima della quantificazione del bene viene analizzata la componente affettiva, come un figlio ha vissuto il suo ruolo".

Cosa si aspetta dopo due mesi di chiusura per coronavirus? "Viviamo un momento in cui una catastrofe ha messo in discussione tutto e ci ha privato di sicurezze fondamentali. Questa esperienza ci fa vedere l’altro come un pericolo, un possibile untore. Per l’uomo è una situazione contro la propria natura di essere in relazione: ogni giorno ci viene ricordato che il giorno dopo potremmo non esserci. Che tra quel numero di vittime che si aggiorna domani potrei esserci io: è uno choc".

Come è stato affrontato il trauma? "Non dandogli un nome, riempiendoci di slogan come “andrà tutto bene “ . Tante parole banali senza che prima venisse riconosciuto lo choc: abbiamo vissuto sessanta giorni in apnea. In questi giorni di apparente ritorno a una pseudo-normalità assistiamo a rabbia e nervosismi".

Le premesse per un incremento di nuovi conflitti... "Sì. Dobbiamo cogliere l’occasione per capire i benefici della mediazione e investire nella formazione. Mentre il giudice decide al posto delle parti, il mediatore, secondo il modello filosofico-umanistico, punta a risolvere il problema che c’è nella relazione dei due contendenti e che sfocia in un oggetto. Ecco perché ritengo che la formazione alla mediazione sia utile anche per chi non pratica la funzione di mediatore".

A chi la consiglia? "Ai manager a ogni livello per prevenire conflitti sul lavoro e agli studenti universitari, indipendentemente dalla facoltà".