C’è la maglia nera della Lombardia, che con il suo tasso medio del quasi 135% è la regione italiana con le carceri più sovraffollate. Poi ci sono i record pazzeschi di alcuni istituti: Varese, Como e Brescia (Canton Mombello) con i loro 185%, ovvero presenze quasi doppie rispetto alla capienza regolamentare: 335 a Brescia (invece di 185), 403 a Como (invece che 226), 94 a Varese invece delle previste 53. E c’è inevitabilmente, come ogni estate, il gran caldo che toglie il respiro nelle celle e alimenta gesti e reazioni incontrollate in chi già vive un equilibrio psicologico precario.
Sovraffollamento, vuoti di organico nella polizia penitenziaria, direttori di istituto spesso a “scavalco“ (persino quello di un San Vittore milanese pieno di problemi deve, un paio di giorni alla settimana, spostarsi a Biella), uniti al caldo non contrastabile (se non con qualche ventilatore) e alla riduzione delle telefonate e dei colloqui con i familiari, rendono sempre più difficile, se non impossibile, la permanenza nelle celle.
È in questo clima che succedono cose come, una settimana fa, il suicidio in cella a Opera di un recluso che - stando alla lettera inviata dalla sua compagna al garante delle persone private della libertà di Milano, Francesco Maisto - mai aveva manifestato segni di un tale disagio. O come la direttiva inviata nei giorni scorsi dal Provveditore dell’amministrazione penitenziaria lombarda, Maria Milano, ai direttori dei 18 istituti della regione. "Dalla lettura di eventi critici recentemente occorsi - si legge - è emerso, in talune circostanze, un utilizzo improprio dei mezzi di coercizione fisica. In particolare, è stato rilevato l’uso delle manette all’interno delle sezioni detentive per contenere gli agiti auto ed etero aggressivi posti in essere dai detenuti".
Saranno le caserme militari dismesse a ospitare i detenuti meno pericolosi come vorrebbe l’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio? "È un vecchio progetto che non ha mai convinto" risponde Maisto ricordando la mole dei lavori e della spesa eventualmente necessari per riadattare allo scopo due ex caserme milanesi. "Serve piuttosto una distribuzione più equa delle presenze nei diversi istituti su base regionale. Una maggiore apertura delle strutture al volontariato, fondamentale per chi passa ore e ore in cella senza svolgere alcuna attività. E l’utilizzo più abbondante delle misure alternative al carcere da parte della magistratura di sorveglianza, che negli ultimi tempi sembra invece risentire del clima culturale e politico che va nella direzione opposta", aggiunge Maisto.
“In linea generale - conclude - andrebbe curato con più attenzione il momento dell’ingresso in carcere, trattato spesso in modo troppo burocratico e protocollare". Il risultato è che oggi le assegnazioni ai vari raggi "avvengono spesso in modo sbagliato". Poi, certo, ogni istituto ha i suoi problemi particolari. E se a Opera abbondano detenuti anche molto anziani con patologie gravissime, e a San Vittore spesso finiscono, in base a valutazioni troppo superficiali, maggiorenni che poi si rivelano per quello che sono ( cioè minori non accompagnati), persino a Bollate, in seguito all’emergenza Covid, si è avuta "l’immissione di persone non attentamente selezionate". Mq quella resta, in ogni caso, "la migliore struttura carceraria a livello nazionale".