Carceri, celle al collasso e agenti “disarmati”. È alto il rischio predicatori del terrore

La polizia penitenziaria: impreparati ad arginare il fenomeno

Un detenuto in cella (foto di repertorio)

Un detenuto in cella (foto di repertorio)

Diciotto carceri. Una capienza regolamentare stabilita dal Ministero di 6.120 detenuti ma una popolazione effettiva costantemente superiore. L’ultimo censimento a fine luglio ha certificato la presenza di 7.921 reclusi. La Lombardia è la regione d’Italia con il maggior numero di detenuti davanti alla Campania (6.749), alla Sicilia (5.892) e al Lazio (5.888). Con la più pesante percentuale di sovraffollamento: nelle celle ci sono 1.801 persone oltre i limiti. E dove più alta è la presenza di stranieri, 3.614, quasi la metà dell’intera popolazione dietro le sbarre. Le donne, invece, sono 380, ospitate nei 7 istituti che hanno un detentivo femminile (Milano San Vittore, Bollate, Bergamo, Brescia «Verziano», Como, Mantova e Vigevano). 

Milano, 13 agosto 2016 - L'ultima, violenta rissa è scoppiata nel carcere di Monza nei giorni del Ramadan. Cinque detenuti romeni contro un marocchino accusato di fare troppo baccano alla sera una volta finite le ore del digiuno. Calci, pugni e anche colpi di lamette. Per dividerli sono dovuti intervenire una trentina di agenti. «Ormai questo scontro di etnie e di religione è all’ordine del giorno, frutto del regime di detenzione aperto che consente ai detenuti di circolare liberamente durante il giorno all’interno della propria sezione - la denuncia di Nico Tozzi, vice segretario regionale del Sindacato autonomo di polizia penitenziaria (Sappe) -. Un regime sbagliato che sta aumentando le criticità, peggiorato dalla cronica carenza di agenti in servizio». Con la cosiddetta sorveglianza dinamica «ormai il 95% dei detenuti sta fuori dalle celle tra le 8 e le 10 ore al giorno ma non tutti sono impegnati in attività lavorative, gironzolano nell’ozio totale e lo sport nazionale è diventato fare risse o aggredire gli agenti - rincara la dose il segretario nazionale del Sappe, Donato Capece -. Ma il vero problema è l’alto numero di stranieri. È una popolazione che non riusciamo a governare. Hanno abitudini e atteggiamenti diversi dagli altri e noi non siamo preparati. In molti casi non c’è possibilità di comunicazione. E la questione diventa ancora più seria oggi con l’incubo terrorismo islamico». In Lombardia gli stranieri oltre le sbarre sono quasi la metà del totale dei detenuti nei 18 istituti. Capece va dritto al punto: «La sorveglianza dinamica consente di fare proselitismo facilmente perché i detenuti si possono incontrare e parlare liberamente. Per impedire la radicalizzazione e la contaminazione dei predicatori non abbiamo alcuno strumento».

Gli agenti hanno chiesto di andare a scuola di arabo perché «così, passando per i controlli nelle varie sezioni, possiamo ascoltare e capire che cosa si dicono fra loro i musulmani. Soltanto in questo modo è possibile fare prevenzione e non solo repressione». Morale della favola, «la situazione è diventata ingestibile - analizza il vice segretario regionale -. In Lombardia si salvano il carcere di Bollate (che non sente il sovraffollamento) e quello di Opera, dove nonostante ci siano circa 300 detenuti in più rispetto al limite previsto il clima non è teso. Gli altri istituti, invece, versano in condizioni pessime. A cominciare da Monza che soffre pesanti carenze non soltanto di agenti ma anche strutturali con intere camerate della caserma agenti inagibili per infiltrazioni d’acqua. Meno agenti (ne mancano un centinaio) mentre i reclusi aumentano: sono 580 (290 stranieri) eppure dovrebbero essere 403». Piene oltre misura anche le celle di Bergamo (200 in più), del Canton Mombello di Brescia (il doppio della capienza), di San Vittore a Milano (943 detenuti di cui 584 stranieri) e in generale di tutto il pianeta carcere. «La pressione è alle stelle, gli arruolamenti sono fermi, le strutture fatiscenti e ogni giorno siamo a piangere miseria. Questa è una polveriera che rischia di eplodere».