In classe con mia figlia perché per lei non ci sono infermieri

Bambini disabili senza assistenza da mesi in tutta Italia perché gli operatori sanitari servono altrove. La storia di mamma Tina

Tina Perna, madre di Eleonora, una bambina di 12 anni con paralisi cerebrale infantile

Tina Perna, madre di Eleonora, una bambina di 12 anni con paralisi cerebrale infantile

Tina Perna si chiede che succederà a settembre. Si chiede se per allora la situazione in cui si trova ormai da mesi sarà risolta. Se lo chiede spesso, più spesso di quanto ci speri. Tina tutte le mattine, intorno alle 11, va nella scuola dove è iscritta sua figlia Eleonora ed entra in classe per prendersene cura. Per darle da bere, per farle fare merenda. Eleonora ha avuto una paralisi cerebrale infantile, fatica a muovere gli arti, ha problemi di deglutizione e per questo è una portatrice di Peg: il cibo le viene dato attraverso una sonda, un piccolo tubo all'altezza dello stomaco. Eleonora ha 12 anni. A settembre inizierà le scuole medie. Nuovi compagni, nuovi insegnanti e lo stesso bisogno di sempre: chi vi baderà, allora? Dovrà essere ancora Tina, che al lavoro ha dovuto rinunciare?

È questo che si chiede questa mamma milanese che da mesi è stata privata, insieme a sua figlia, del diritto di avere quanto previsto dall'Assistenza Domiciliare Integrata: un'infermiera che la aiuti ad assistere sua figlia, a scuola come a casa. “Eleonora è sempre stata seguita in classe da un'infermiera, come prevede il servizio della Regione Lombardia attraverso le Agenzie di Tutela di Salute (Ats). Dal 22 febbraio scorso, però, la onlus individuata dall'Ats ci ha comunicato che non ha più infermieri da mandare”.

Nella stessa situazione di Tina e della sua Eleonora si trovano sempre più famiglie e sempre più minori con disabilità gravi e gravissime in tutto il Paese. Famiglie e ragazzi per i quali è stato riconosciuto il bisogno di avere infermieri professionisti che li assistano a domicilio per un certo numero di ore al giorno, a seconda del livello di disabilità, e che, invece, si sentono rispondere che infermieri per loro non ce ne sono. Non più. La Fondazione Maddalena Grassi, una delle due realtà che in Lombardia si occupa di assistenza domiciliare per minori, ha messo nero su bianco il problema in più lettere inviate all'Agenzia di Tutela della Salute di riferimento: “Da più di 6 mesi – si fa presente nella missiva inviata il 27 aprile scorso – non siamo purtroppo più in grado di soddisfare le richieste di presa in carico che ci giungono sia dalle famiglie che direttamente dagli ospedali, che conseguentemente rimangono senza un'assistenza adeguata”. A firmare la lettera è stato Maurizio Marzegalli, vicepresidente della Fondazione Maddalena Grassi, che spiega: “In questo momento seguiamo a domicilio 89 minori con diversi livelli di disabilità, ma abbiamo dovuto dire no ad una ventina di richieste, equamente divise tra quelle che arrivano dalle famiglie e quelle che arrivano dagli ospedali. Il fatto che chiamino anche gli ospedali dimostra, se ce ne fosse bisogno, che si tratta di un bisogno sanitario riconosciuto”. L'altra realtà che si occupa di assistenza domiciliare ai minori in Lombardia è Vivisol, che segue 135 minori tra Milano e provincia, Monza, Pavia e Crema: “Per far fronte alla mancanza di infermieri, ma anche di altro personale specializzato, ad esempio i logopedisti, abbiamo dovuto sospendere l'assistenza ad alcune famiglie o abbiamo dovuto diminuire le ore” spiega Chiara Esposito, coordinatrice del Servizio Minori.

A livello nazionale è stato l'Osservatorio Malattie Rare (Omar) a lanciare l'allarme, riportando diversi casi di minori con malattie neurodegenerative lasciati senza altra assistenza di quella garantita dai loro genitori. “Ma a volte il genitore che si occupa del minore è uno solo – segnala Marzegalli –. Nel 30% dei casi, di fronte alla nascita di un bimbo con grave disabilità, le famiglie si disgregano”. Perché mancano infermieri? “Per carenze storiche che ora sono state acuite dalla pandemia – afferma Marzegalli –. L'emergenza Coronavirus ha fatto aumentare la richiesta di infermieri nei reparti, per i tamponi e per la campagna vaccinale, tutte mansioni che assicurano agli infermieri retribuzioni migliori rispetto a quelle dell'assistenza domiciliare e per un impegno meno gravoso, anche da un punto di vista emotivo e psicologico, rispetto a quello di seguire un minore disabile. La maggiore offerta di lavoro e con retribuzioni più competitive ha ridotto la disponibilità di personale per i nostri servizi”.

Gli infermieri italiani sono tra i meno pagati in Europa, con un reddito medio annuo di 32.500 euro. Nei Paesi Bassi, nel Regno Unito, in Irlanda, Germania, Spagna e Francia gli stipendi sono più alti. “La maggior parte delle risorse del nostro Servizio Sanitario Nazionale è stata drammaticamente spostata sull’emergenza sanitaria in corso esasperando le già precarie situazioni ad alta intensità e complessità assistenziale – conferma Ilaria Vacca, dello sportello legale dell'Osservatorio Malattie Rare –. Questo ha ricadute violentissime sulle famiglie, e in particolare sulle donne, madri e caregiver per antonomasia. Costrette ad abbandonare il lavoro per assistere a tempo pieno i propri familiari, rischiando di perdere il lavoro e anche la salute”.

Nel dettaglio, durante e per l'emergenza Coronavirus sono stati messi sotto contratto (flessibile) 16.570 infermieri, secondo quanto riportato dal Ministero della Salute ad ottobre 2020. Contratti con i quali si è cercato di colmare un fabbisogno di profili infermieristici stimato in 60mila unità già prima della pandemia, a fronte di 454mila iscritti agli Albi professionali. Contratti coi quali si è cercato di correggere la rotta perseguita negli ultimi 10 anni: dal 2009 al 2019, secondo i dati della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI), il numero di infermieri alle dipendenze del servizio sanitario nazionale è diminuito di 8.397 unità, col risultato che oggi in Italia ci sono 5,8 infermieri ogni mille abitanti, mentre la media europea è di 8,5 infermieri ogni mille abitanti.

Non a caso, al di là del ricorso ai contratti flessibili, è arrivato un provvedimento governativo: a maggio del 2020 è stato approvato il decreto Rilancio, che prevede per il 2021 l'assunzione di 9.600 infermieri, in particolare proprio infermieri di famiglia e di comunità. E non è finita: le Regioni, per l'anno accademico 2021-2022 hanno chiesto di formare 23.498 infermieri per la laurea triennale, mentre negli anni scorsi non si era mai andati oltre la soglia dei 15mila. Numeri che confermano e spiegano come le carenze siano storiche, come la pandemia abbia costretto a porre rimedio a questo problema e come gli interventi adottati abbiano nuociuto ad alcuni destinatari di cure infermieristiche, a partire dai minori disabili e dalle loro famiglie. Detto altrimenti: prima che la coperta diventi più lunga occorrerà del tempo, intanto la si tira da un lato, lasciandone privo chi si trova sul lato opposto.

Secondo la FNOPI, delle 9.600 assunzioni previste dal decreto Rilancio finora se ne sono fatte non più del 15% proprio perché di infermieri formati per lavorare come infermieri di famiglia e di comunità ce ne sono pochi. Sempre secondo la FNOPI, se si confronta il numero di malati cronici e di persone non autosufficienti con gli organici degli ospedali secondo i parametri europei e internazionali, emerge che in una regione come la Lombardia, che conta 62mila iscritti all'albo professionale, occorrerebbero 3.487 infermieri di famiglia e comunità, che oggi non ci sono. In Italia ne occorrerebbero 21.414. Che fare in attesa che si creino le condizioni per nuove assunzioni? Le associazioni chiedono alle Regioni di aumentare i budget destinati all'Assistenza Domiciliare Integrata in modo da consentire alle realtà accreditate di retribuire meglio gli infermieri e, seconda richiesta, che siano formate e coinvolte nell'assistenza ai minori una serie di figure del sociosanitario oggi non abilitate per questa missione, come l'Assistente Famigliare, per il quale esistono da tempo dei corsi, o come gli Operatori Socio Sanitari (OSS). Richieste già avanzate alla Regione Lombardia dalla Fondazione Maddalena Grassi e da Fortunato Nicoletti, presidente dell'organizzazione di volontariato “Nessuno è escluso”.