
Vincenzo Siliprandi primario di ostetricia nell’ospedale di Crema
Crema, 31 marzo 2019 - Eccezionale intervento compiuto con successo per la prima volta nel reparto di Ostetricia dell’ospedale di Crema. Un’équipe di tredici persone ha portato a termine con successo un’operazione su una donna che presentava una placenta percreta, riuscendo a salvare sia la paziente, sia il piccolo che aspettava.
L’intervento è stato coordinato dal primario di ostetricia Vincenzo Siliprandi, assistito da una serie di professionisti nella sala chirurgica dove è avvenuto il parto per taglio cesareo. «La plancenta percreta - spiega il primario - è un evento rarissimo. Se ne presenta uno ogni 70mila gravidanze e a Crema non ce n’era mai stato uno. Per dare un’idea della complessità dell’intervento si pensi che sono necessarie numerose persone, ciascuna con un compito ben preciso e il pericolo maggiore, oltre al rischio per il nascituro, è che la paziente possa morire per dissanguamento. Infatti, in questi casi la paziente durante l’intervento può perdere fino a venti litri di sangue». Per questo è necessario preparare minuziosamente l’operazione e avere una scorta di sangue molto grande. «Abbiamo monitorato la paziente per circa un mese - continua - e siamo riusciti a portare a termine l’intervento con una perdita di sangue di soli due litri. Al termine dell’operazione non ci sono state conseguenze per il piccolo, un maschietto di 2.4 chili nato alla 35a settimana e neppure per la mamma, una cremasca di 34 anni per la quale si trattava del terzo bambino nato con parto cesareo».
Il piccolo è stato portato a Pavia per accertamenti e già oggi potrebbe tornare a Crema, viste le sue buone condizioni generali, mentre la madre si sta rapidamente rimettendo. L’intervento, rarissimo, è necessario in presenza di placenta che aderisce profondamente al muscolo uterino, circostanza che si può verificare se vi sono stati dei precedenti cesarei. Il caso più grave è la placenta percreta che presenta difficoltà del distacco della stessa dalle altre strutture, dalla necessità di dover talora rimuovere l’utero, dalla possibilità di gravi emorragie. Il rischio di morte, che pur esiste, è basso se l’intervento viene programmato in una struttura in cui siano presenti l’esperienza e le adeguate competenze chirurgiche.