Chiude le porte anche la Svizzera: al confine accampati 400 profughi

Como, nell’area della stazione ormai è emergenza sanitaria

Profughi, emergenza a Como in stazione San Giovanni (Cusa)

Profughi, emergenza a Como in stazione San Giovanni (Cusa)

Como, 8 agosto 2016 - Sul lago di Como si attendevano un’invasione di turisti e invece ad essere arrivati in massa sono i profughi. Nella maggioranza dei casi si tratta di giovani eritrei, etiopi e somali, spesso famiglie intere con appresso i bimbi ancora in fasce. Mentre i viaggiatori indaffarati salgono e scendono dai treni, lungo la linea che da Milano porta in Svizzera, loro attendono un convoglio che da qui non è ancora passato, diretto in Germania. «La signora Merkel ha detto che ci ospiterà tutti», ripetono in inglese o in uno stentato italiano, ma il loro sogno per ora si è fermato ai confini con la Confederazione Elvetica. Chiasso dista neppure quattro chilometri da qui e i profughi ci vanno almeno una volta al giorno, salendo sui treni o a piedi, camminando di giorno e di notte lungo la massicciata. Per chi ha attraversato l’Africa a piedi, in un’odissea iniziata anche più di un anno fa, poco più di una passeggiata. Peccato che ad attenderli al confine ci siano le inflessibili Guardie svizzere. Uno a uno li fanno scendere dai treni e controllano i loro documenti, che quasi sempre non ci sono, rimandandoli senza troppi convenevoli in Italia.  «Ci sono tanti casi di minori non accompagnati che hanno fratelli o parenti rifugiati in Svizzera o in Germania – spiega Lisa Bosia Mirra, parlamentare elvetica del Partito Socialista – ma anche in questi casi spesso le guardie fanno finta di non capire e rimandano tutti indietro. Qualche giorno fa un ragazzo eritreo che gode dello status di profugo nel nostro Stato ha rischiato di essere arrestato al confine perché era venuto qui a prendere i due fratelli arrivati dall’Eritrea».  Il sindaco Mario Lucini ha incontrato il suo omologo ligure, Enrico Ioculano, per confrontarsi sul modo migliore di affrontare l’emergenza. «La mobilitazione della cittadinanza, dei volontari e delle associazioni è ammirevole, così come l’impegno delle forze dell’ordine – spiega il sindaco –. Questa situazione, però, non può essere lasciata solo sulle spalle di Como. Per dare una risposta dignitosa ai drammi umani che si manifestano davanti ai nostri occhi non si può pensare che sia sufficiente l’impegno generoso della nostra comunità».

A chiedere l’intervento dell’Unione Europea hanno pensato i parlamentari locali, invocando i ministri Alfano e Gentiloni perché si diano da fare per aprire un corridoio umanitario in Svizzera, così da consentire ai profughi di raggiungere la Germania. «Nessuno di loro vuole fermarsi a Como o in Italia – conferma Roberto Bernasconi, direttore della Caritas – il loro unico obiettivo è raggiungere il Nord Europa e non riescono a capacitarsi del fatto che la Svizzera si ostini a respingerli. Non è semplice neppure aiutarli. Temono di essere separati, per questo anche le mamme con i bimbi piccoli e i minori non accompagnati preferiscono dormire nel parco della stazione anziché riposare in un letto offerto da qualche parrocchia o sotto le tende della Croce Rossa».  Così da quasi un mese fuori dalla stazione c’è un vero e proprio campo profughi, malgrado le lamentele di Lega Nord e Confcommercio preoccupati perché la loro presenza rischia di rovinare l’immagine turistica della città. «Siamo di fronte a un’emergenza umanitaria – conclude Bernasconi – qui ormai ci sono più di 400 persone in condizioni igieniche precarie, l’unica soluzione è trasferirli altrove e alloggiarli in container». Impensabile andare avanti per molto con un solo bagno, quello della stazione, che chiude durante la notte, e le mamme che lavano i neonati nell’unica fontanella del parco. «Una vergogna – si interrogano i passanti – questa è una tra le città più ricche d’Italia eppure queste persone sono costrette a vivere peggio degli animali. Dov’è lo Stato?».  Per ora si è fatto vivo attraverso la prefettura con un ambulatorio mobile per visitare e curare i profughi. L’altro rimedio è rimandare i profughi nel centro di accoglienza di Taranto, da cui la maggior parte di etiopi ed eritrei sono fuggiti. Ne caricano cento sui pullman che viaggiano tutta notte fino ad arrivare in Puglia, ma tempo due giorni sono di nuovo qui, a bussare alle porte di quello che per loro è il Paradiso. «È come voler fermare il mare con le mani», sospira un agente.