L’omicidio Deiana non fu premeditato

Confermata in Appello la condanna a 22 anni di reclusione per l’investigatore privato di Monza

La sorella mostra la foto di Salvatore

La sorella mostra la foto di Salvatore

L’omicidio di Antonio Deiana non fu premeditato. Così la Corte d’Assise d’Appello di Milano, ha confermato la condanna a 22 anni di reclusione per Nello Placido, l’investigatore privato di 45 anni di Monza, accusato di concorso nell’omicidio avvenuto il 20 luglio 2012 in uno scantinato di Cinisello Balsamo. I resti della vittima, accoltellata ripetutamente e poi seppellita sotto una colata di cemento, erano stati trovati solo sei anni dopo, il 20 luglio 2018, grazie all’indicazione fornita alla polizia da un confidente. Al termine del processo d’Appello, i giudici hanno quindi scelto di non accogliere la richiesta di condanna all’ergastolo giunta dal sostituto procuratore generale di Milano, secondo cui dal dibattimento era emerso con chiarezza che Deiana, che si era presentato all’appuntamento per definire la compravendita di quattro chili di cocaina, dopo essere stato rapinato, da lì non sarebbe più dovuto uscire. A raccontarlo era stato Luca Sanfilippo, 49 anni, coimputato di Placido, residente nella palazzina di via Della Pila in cui era stato dato appuntamento a Deiana, nello scantinato da cui non era mai più uscito. Era stato arrestato il giorno del ritrovamento del cadavere, e aveva subito ammesso di essere coinvolto in quell’omicidio: dai 30 anni di condanna con rito abbreviato in primo grado, era sceso a 18 in Appello. Ma non aveva mai fatto il nome di Placido, a cui la Squadra Mobile di Como era arrivata mesi dopo, sulla scorta di una serie di altri elementi raccolti contro di lui, e che ha sempre sostenuto di non aver commesso quel delitto. Accusando tutti di aver strumentalizzato le indagini, e di aver convinto i testimoni a dare versioni che non corrispondevano alla verità. "All’inizio non volevo tiralo in mezzo", ha detto Sanfilippo ad aprile davanti alla Corte – "ma in questi mesi mi sono fatto un esame di coscienza, e ho capito che era arrivato il momento di dire la verità". Aveva quindi raccontato che "Placido aveva appuntamento con un suo conoscente per fingere un acquisto di 4 chili di cocaina. Volevamo rapinarlo, e se qualcosa fosse andato storto, lo avremmo ucciso. Nello aveva ricevuto una telefonata ed era uscito per andare a prenderlo: io non lo conoscevo, quando l’ho visto pensavo fosse un marocchino, perché era scuro di carnagione. Poi loro due hanno iniziato a discutere, io ero nell’altra stanza della cantina: mi sono avvicinato, sono scivolato sul sangue di Antonio, già ferito, e mi sono trovato il coltello tra le mani". Ammettendo quindi di aver sferrato le ultime coltellate. Una testimonianza in base alla quale il pubblico ministero aveva chiesto la condanna all’ergastolo, e il riconoscimento della premeditazione, così come era stato già sostenuto dall’accusa in primo grado, e dall’avvocato Maruska Gervasoni, costituita parte civile per la sorella della vittima, Antonella Deiana. Ma ieri, dopo sei ore di camera di consiglio, la Corte ha confermato la condanna di primo grado, che esclude la premeditazione.