Operazione “Leonessa” In 18 a processo per mafia

Brescia, la decisione del giudice: alla sbarra anche Marchese, Fiorisi e Ranio ritenuti i capi di un clan finalizzato a reati fiscali, corruzione e riciclaggio

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di Beatrice Raspa

La “stidda” del Nord va a giudizio. Lo ha deciso ieri il gup, Riccardo Moreschi, che ha disposto il processo per i primi diciotto imputati nel filone mafia dell’inchiesta Leonessa. Tra loro, i presunti capi Rosario Marchese, Angelo Fiorisi e Roberto Raniolo, che per il pm della Dda Paolo Savio e l’aggiunto Carlo Nocerino sono i promotori di una cosca radicata sull’asse Brescia-Milano-Torino. Un clan autonomo, ma ispirato alla omonima stidda gelese, finalizzato a reati fiscali, corruzione di pubblici ufficiali e riciclaggio. Alla quasi totalità degli imputati in questione, per i quali il dibattimento inizierà il 2 febbraio, è contestato il reato associativo di stampo mafioso. Il gup, accogliendo in parte le richieste delle difese, ha anche parzialmente scorporato il procedimento, disponendo il trasferimento a Gela – dove è pendente un’inchiesta per fatti analoghi – degli atti per la trattazione dei reati fine e delle indebite compensazioni compiuti prima del 2016 da alcune posizioni. Per altri diciotto imputati coinvolti nel medesimo filone investigativo di Leonessa, il gup si pronuncerà invece il 27 novembre. Personaggio cruciale della maxi-inchiesta tripartita, che nel settembre 2019 aveva fatto finire in cella 69 persone e sotto la lente degli inquirenti altre 200, è l’imprenditore 33enne di Caltagirone (Catania) naturalizzato a Lonato del Garda dal 2013. Detenuto a Opera e già coinvolto in 9 anni da 14 procedimenti, Marchese è ritenuto contiguo ai Rinzivillo di Gela. Per la Procura e la Finanza, che ha condotto le indagini, è emblema della nuova mafia che al Nord si è messa giacca e cravatta e ha fatto fortuna infiltrandosi nell’economia e cavalcando le indebite compensazioni. La scorsa estate la Dia di Caltanissetta gli ha confiscato un patrimonio di 15 milioni di euro.

Un impero di società disseminate tra Brescia, Bergamo, Milano, Torino, Verona, Roma e Gela, operative in ambiti vari, dalla consulenza amministrativa, finanziaria e aziendale alla sponsorizzazione di eventi (tra cui il Festival di Sanremo), dal marketing sportivo al noleggio di auto, barche e aerei, passando per studi medici e bar. Proprio la cessione dei pacchetti di falsi crediti Iva agli imprenditori desiderosi di pagare meno tasse è considerata uno dei business più fiorenti del clan. Attività che il presunto boss ha ammesso ("Sono gli imprenditori a cercare i nostri servizi") negando però di essere un mafioso.