Testimoni quotidiane contro la violenza alle donne, che erogano un servizio ma soprattutto accolgono chi ha subìto violenza, all’insegna della sorellanza. Sono le operatrici della Casa delle donne, Centro antiviolenza Brescia, Chiare Acque di Salò, VivaDonna di Gardone Val Trompia che hanno aderito alla manifestazione di Donne in rete contro la violenza (D.i.Re).
Sono scese in piazza con un flash mob per ricordare l’importanza di questi centri, che rischiano di essere messi in ombra dalle modifiche ai requisiti minimi per l’accreditamento dei centri antiviolenza dall’intesa Stato-Regioni. "Ravvisiamo da tempo una deriva pericolosa per le donne nelle politiche dell’antiviolenza – spiega Viviana Cassini, presidente della Casa delle donne di Brescia – ovvero il tentativo di neutralizzare attività di prevenzione e contrasto della violenza maschile sulle donne. Queste modifiche pongono in atto requisiti e modalità volti a depotenziare il ruolo dei centri antiviolenza che nel tempo, basandosi sull’esperienza diretta nei percorsi di uscita dalla violenza delle donne accolte, hanno progettato e realizzato azioni di prevenzione". Dal 1989 Casa delle donne di Brescia, primo centro della provincia, ha affiancato e accolto 12mila donne.
"Ma c’è ancora tanto da fare – ricorda Cassini – Siamo in piazza per le 94 vittime di femminicidio del 2024, per quelle che sono sopravvissute, per le vittime di stupri, violenze fisiche, psicologiche, economiche, molestie". Il flash mob (cui hanno partecipato anche il consigliere del Comune Francesco Catalano e rappresentanti della Commissione Pari opportunità) ha guardato anche fuori dai confini nazionali: alle donne migranti, a quelle che vivono in Paesi in guerra, alle giovani coraggiose come Ahoo Daryae, la studentessa iraniana arrestata perché rimasta in biancheria intima all’università di Teheran, alle donne afghane obbligate a matrimoni forzati, che hanno il divieto assurdo di cantare, ballare, fare sport.
"La violenza sulle donne riguarda tutti e tutte perché dietro a ogni uomo violento c’è una società intera che continua a guardare e a non vedere. Ecco perché siamo chiamati ora alla non neutralità, a una presa di posizione. Perché non fare violenza non basta: occorre un lavoro di prevenzione per sradicare la cultura sessista che la genera".