Omicidio Yara: condanna definitiva, il caos pure. Bossetti, l’assurda navetta fra giudici

Bergamo, dal 2019 quattro istanze e due rinvii dalla Cassazione per decidere se i reperti si possono consultare

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Yara Gambirasio e Massimo Bossetti

Bergamo -  Ci sono alcune date da fissare nella storia infinita, nell’odissea tortuosa e per alcuni versi paradossale, nell’estenuante rimpallo da Bergamo a Roma e ritorno, dalla Corte d’Assise alla Cassazione e ancora all’Assise. È la questione dell’esame dei reperti del caso di Yara Gambirasio. Un esame autorizzato da quasi due anni e cinque mesi e mai eseguito. Claudio Salvagni e Paolo Camporini sono i difensori di Massimo Bossetti, definitivamente all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne di Brembate di Sopra. Nel 2019 chiedono l’esame di una serie di reperti: le provette con 54 campioni di Dna, gli slip di Yara con impressa la traccia biologica dell’assassino (quel’"Ignoto 1" che la genetica ha identificato in Bossetti), i leggings, le biancheria, le scarpe, tutto quello che la piccola vittima portava su di sé nella sua ultima serata di vita, il 26 novembre 2010.

Quella del 29 novembre 2019 è una data importante: la Corte d’Assise di Bergamo accoglie l’istanza della difesa, presentata tre giorni prima. La mattina dopo i difensori notificano la decisione alla procura orobica e all’ufficio corpi di reato del tribunale e chiedono la conservazione dei reperti. Il 2 dicembre il presidente della Prima sezione del tribunale di Bergamo, Giovanni Petillo, invia all’ufficio corpi di reato un provvedimento in cui precisa che quanto autorizzato deve essere inteso come una "ricognizione", alla presenza della polizia giudiziaria, e quindi non sono consentiti esami invasivi. Nulla può essere toccato o preso. Un "guardare e non toccare" per i legali di Bossetti che in ogni caso hanno conseguito un risultato. Tanto che il 9 dicembre chiedono di conoscere tempi e modalità di un’operazione che è stata comunque autorizzata. Il 2019 si chiude con questo aggrovigliato finale.

Il 15 gennaio del 2020, su istanza del pm Letizia Ruggeri (che ha sostenuto l’accusa nel processo di primo grado) la Corte d’Assise bergamasca dispone la confisca di tutti i reperti. I carabinieri di Bergamo si presentano al San Raffaele di Milano dove acquisiscono le 54 provette con il Dna (prima architrave dell’accusa, poi pietra fondante del carcere a vita inflitto a Massimo Bossetti). Campioni e reperti vengono depositati nell’ufficio corpi di reato del Palazzo di giustizia di Bergamo. Il 4 marzo e il 3 aprile, forte dell’autorizzazione ricevuta a suo tempo, la difesa presenta due nuove istanze per conoscere modi e tempi dell’esame. Il 26 maggio l’Assise respinge la richiesta come inammissibile con la motivazione che con la confisca ha esaurito "ogni suo potere" sui reperti. Il 10 giugno l’istanza viene inoltrata all’ufficio corpi di reato, ma a rispondere (il 30 giugno) è la Corte d’Assise, ancora una volta in maniera negativa su una istanza giudicata "reiterazione di quanto già richiesto". Doppia ripulsa e doppio ricoroso dei difensori in Cassazione.

Il 13 gennaio 2021 è una giornata importante. La prima sezione penale della Suprema Corte (la stessa che tre giorni fa ha rimandato gli atti a Bergamo) annulla con rinvio le due ordinanze con cui la Corte d’Assise di Bergamo ha negato l’esame dei reperti. La richiesta della difesa dovrà essere esaminata di nuovo a Bergamo. Con il suggello degli "ermellini" romani si riapre la partita? Per l’ergastolano Bossetti si accende una fiammella di speranza nella revisione? La guerra punica prosegue. Bergamo deve decidere. Udienza a porte chiuse quella che il giudice Donatella Nava presiede il 19 maggio dello scorso anno. Nella piccola aula dell’Assise si fronteggiano ancora una volta il pm Ruggeri e i difensori. "Mi ha molto colpito - saetta, al termine, un furioso Salvagni - che i 54 campioni di Dna siano stati definiti ‘scartini’". La difesa esce sconfitta.

In diciannove pagine la Corte d’Assise motiva il "no" a tutte le richieste di accesso, visione, nuovi esami dei reperti. Da Bergamo a Roma e di nuovo a Bergamo. Interminabile partita a tennis davanti a un pubblico fantasma. Ultimo game (per ora) quello di giovedì scorso, quando la Cassazione viene chiamata a decidere su due ricorsi dei difensori di Bossetti. Uno (il quarto) per l’esame dei reperti. L’altro (il quinto sul punto) per conoscerne lo stato di conservazione. La Cassazione unifica i ricorsi e rimanda gli atti alla Corte d’Assise di Bergamo perché decida come giudice dell’esecuzione.