
Yara Gambirasio e Massimo Bossetti
Brembate Sopra (Bergamo), 25 marzo 2015 - «Mi rivolgo a te come mamma. Tu sei padre e anche mio figlio è padre. Ha tre figli, è in carcere. Ti prego, va’ dai carabinieri e racconta quello che hai visto». A «La vita in diretta» appello di Ester Arzuffi e della figlia Laura Letizia, rispettivamente madre e sorella di Massimo Giuseppe Bossetti, accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio. L’appello televisivo era rivolto all’uomo senza nome che, verso la fine di marzo del 2011, a circa un mese dal ritrovamento del corpo di Yara in un campo a Chignolo d’Isola, aveva scritto una lettera al quotidiano bergamasco. Una missiva in forma anonima perché lo sconosciuto, che si era qualificato come rappresentante di commercio, quella sera si trovava al campo di Chignolo in compagnia di una prostituta. Era il 26 novembre 2010. Nello spiazzo esattamente di fronte al campo aveva notato due scooterini da ragazzi parcheggiati di traverso, un casco abbandonato a terra, l’altro sulla sella.
«Con i fari - scriveva - per pochi secondi ho fatto luce nel campo dove ho visto, anzi abbiamo visto, delle figure che si allontanavano o meglio si addentravano nel campo. Sembravano litigare, o forse scherzavano, avevano fretta. Ho solo due certezze: che erano tre e che erano le 19 in punto del 26 novembre». Le 19: l’ora in cui inizia l’epilogo della vita di Yara Gambirasio. «E’ importante - aggiunge Laura Letizia Bossetti - anche quello che quest’uomo non ha visto: non ha visto un furgone verdino come quello di mio fratello, non ha visto un uomo col pizzetto». La procura ha chiesto il rinvio a giudizio di Bossetti per omicidio pluriaggravato. L’avvocato comasco Paolo Camporini affiancherà nella difesa l’avvocato Claudio Salvagni.