"Bossetti uccise Yara senza pietà". La Cassazione conferma: ergastolo / VIDEO

Respinto il ricorso. "Lasciò la ragazzina a morire nel campo"

Massimo Giuseppe Bossetti nel riquadro, l'arrivo sul blindato

Massimo Giuseppe Bossetti nel riquadro, l'arrivo sul blindato

Bergamo, 13 ottobre 2018 - Confermato l’ergastolo a Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della difesa dell’uomo condannato già nei primi due gradi di giudizio per il delitto della ragazzina di 13 anni di Brembate di Sopra, scomparsa il 26 novembre 2010. La suprema corte ha respinto anche il ricorso della procura generale di Brescia contro l’assoluzione di Bossetti per l’accusa di calunnia del collega Massimo Maggioni. La sentenza è stata letta dal presidente Iassilo dopo una camera di consiglio durata circa 4 ore. «Il dna ha fatto parlare il corpo di Yara, quel corpo che ha trattenuto il codice genetico di colui che non ha avuto un moto di pietà e l’ha lasciata morire sola in quel campo».

La voce del sostituto procuratore generale della Cassazione, Mariella De Masellis, si spezza per la commozione mentre conclude la requisitoria con le richieste: respingere il ricorso della difesa e confermare l’ergastolo a Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara Gambirasio; accogliere la richiesta della procura generale di Brescia contro l’assoluzione di Bossetti dall’accusa di calunnia al collega Massimo Maggioni e rinvio all’appello bresciano per un nuovo processo. Gremita di pubblico la piccola aula della prima sezione penale della Suprema Corte, per l’udienza presieduta da Adriano Iasillo. Una cinquantina i giornalisti. Nessun parente dell’imputato. Da Bergamo tre irriducibili supporter innocentisti con due striscioni davanti al palazzo di piazza Cavour: «Bossetti libero» e «Vogliamo la verità. Bossetti innocente». Per il muratore di Mapello, condannato nei primi due gradi di giudizio, è l’ultima spiaggia per sfilarsi dal carcere a vita. Scese da Bergamo anche due amiche, invece, colpevoliste. Il sostituto pg parla per due ore. Contesta i 24 motivi del ricorso della difesa. Dna, sempre il Dna: la traccia genetica lasciata sugli slip di Yara da quello rimato a lungo Ignoto 1, poi identificato in Bossetti. «Il test genetico è decisivo. Il Dna nucleare è informativo e identificativo della persona. È stato ricavato nei laboratori a elevatissima specializzazione del Ris. Non ci può essere che si ‘pucci’ il Dna di un altro in una provetta». Da respingere anche l’argomento della difesa sulla presunta mancanza di ripetizioni valide del test, evocando sul punto il giallo di Perugia e l’assoluzione di Raffaele Sollecito. Non si è verificata alcuna contaminazione: quando il prof Piccini ha esaminato campioni con un kit diverso, che non era a disposizione del Ris, il risultato è stato lo stesso.

L’assenza del Dna mitocondriale di Bossetti nella traccia biologica impressa su Yara è un caposaldo della difesa. «La mancanza del mitocondriale non incide. Il Dna non ha capacità identificativa, individua la linea di ascendenza materna». I difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini sono usciti delusi e provati. Salvagni spiega: «Abbiamo dedicato tutte le energie per smontare una sentenza che conteneva incongruenze grandi come una casa. Pensavo che ci fossimo riusciti, era questo il terzo grado di giudizio. I giudici sono uomini, non sono infallibili. Decidiono sugli atti e in questo caso erano sbagliati. A un certo punto si decide che la Terra è piatta, allora ci terremo la Terra piatta». Assediato dai cronisti, il legale: siamo passati dalle 16 ore della camera di cnsiglio di Brescia alle 4 ore della Cassazione.