Bergamo, Viviana uccisa dalle botte e dal "degrado familiare"

Nelle loro motivazioni i giudici non hanno lesinato critiche alla madre e lo zio

I rilievi della polizia

I rilievi della polizia

Bergamo - Un omicidio, quello di via Maironi da Ponte, maturato in un ambiente borderline, dove le relazioni interpersonali erano difficili, inesistenti per le problematiche individuali. A partire da quella di Cristian Michele Locatelli, 42 anni, condannato a 18 anni di carcere (il pm aveva chiesto l’ergastolo) per la morte della fidanzata Viviana Caglioni, 34 anni, deceduta il 6 aprile 2020, all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dopo una settimana di agonia e due interventi chirurgici alla testa. L’omicidio è stato riqualificato in morte come conseguenza dei maltrattamenti. Si diceva della personalità di Locatelli (assistito dall’avvocato Luca Del Bue), descritto come "aggressivo, impulsivo, pericoloso socialmente". E propria la sua impulsività fa dubitare che la sera del 30 marzo del 2020, quando lui e Viviana litigarono avesse agito animato dalla chiara e realistica volontà di uccidere. Era mosso da una gelosia (nei confronti degli ex di Viviana).

Viviana Caglioni, la vittima
Viviana Caglioni, la vittima

I due si erano messi assieme a dicembre del 2019. Si è trattato di un maltrattamento psicologico in cui l’imputato, con il suo atteggiamento forte e autoritario ha finito per prevaricare Viviana, controllandola, isolandola (non era più libera di telefonare) e facendola vivere in un clima di paura e umiliazione, diventando bersaglio di continui insulti e scenate. Anche la sera del 30 marzo Viviana era stata bersaglio dei soliti insulti di Locatelli che poi l’aveva colpita dove capitava con pugni, sberle, e calci mentre lei cercava di sfuggire dalla "camera della nonna". Una situazione che si era ripetuta altre volte con le stesse manifestazioni di violenza.

A giudizio della corte non vi è alcuna prova che Locatelli abbia scientemente posto in essere condotte volte a far si che la compagna quella sera ricevesse cure adeguate. Piuttosto il contegno dell’imputato, della madre e dello zio è stato di persone che nel contesto di marginalità e degrado, hanno sottovalutato la gravità della situazione in cui versava Viviana (l’ambulanza era arriva in codice verde). La vittima era afflitta da gravi problemi di alcol e droghe. Non lavorava, era dipendente economicamente dalla madre, con la quale spesso litigava, una situazione che l’aveva frustrata che con il tempo l’aveva resa ancora più fragile in un contesto "famigliare degradato in cui madre e zio erano a loro volte vittime di soprusi", anche da parte di Locatelli.