
Da sinistra, la vittima Luciano Muttoni e Francesco De Simone, che ha confessato il delitto
Bergamo – Uno sguardo giudicato poco opportuno. Nasce così nella mente di Francesco De Simone, l’idea di “fare una ripicca” a Luciano Muttoni, 58anni, ucciso venerdì nel suo appartamento di via Rossini a Valbrembo, che affittava per arrotondare. Punire quello sguardo mal interpretato. Al piano il 25enne avrebbe pensato sin da venerdì mattina e poi attuato con la partecipazione di Mario Vetere, 24 anni, origini polacche.
Il gip Solombrino ha convalidato l’arresto al termine dell’interrogatorio di convalida. Un racconto agghiacciante. “Sono stato io a uccidere Luciano. Lui non piaceva alla mia ragazza, le metteva ansia. Quando ci ha accompagnato in auto alla stazione di Ponte San Pietro, ho visto che guardava dallo specchietto retrovisore la mia ragazza e la sua amica, come se avesse un interesse. E questa cosa mi aveva dato fastidio”. Nella testa di De Simone tutto inizia come una ripicca, poi si trasforma in rapina (50 euro, la Golf di Muttoni e il cellulare) e sfocia in omicidio, come si legge nell’ordinanza di convalida. Il 25enne conosceva bene la vittima, era stato a dormire da lui tre volte.
L’ultima nella notte tra mercoledì 6 e giovedì 7: oltre a De Simone, c’era la sua ragazza e una sua amica. Nel tragitto in auto, lo sguardo ritenuto inopportuno. Il 25enne pianifica, tramite Instragram contatta Vetere (conosciuto tramite amicizie in comunità). Gli racconta che aveva bisogno di una mano “per regolare i conti con un tizio che mi doveva dei soldi” e voleva prenderseli con forza. All’inizio l’idea è quella di spaventare Muttoni, prendersi da lui tutto quello che poteva, i soldi, l’auto, il cellulare.
Il momento della rapina. Prima di agire i due avevano assunto cocaina. Poi si infilano un passamontagna. Il 58enne era seduto a tavola, in cucina e stava cenando. De Simone, come ha raccontato, “prima ho puntato la scacciacani tipo Beretta che mi ero portato dietro. Poi gli ho detto che non gli avrei fatto nulla se mi avesse dato quello che aveva. Lui invece ha reagito e io l’ho colpito ma lui faceva resistenza”. La vittima è stata colpita alla testa ripetutamente prima con il manico della scacciacani, poi a calci e pugni. Quando i due escono dall’appartamento, il 58enne era steso a terra, vicino al frigorifero, ansimava, si lamentava, era ancora vivo. Il giorno dopo l’omicidio il 25enne l’ha trascorsa con la ragazza e degli amici, come se non fosse successo nulla. Un omicidio, come scrive il giudice, sintomatico della condizione di profondo disagio e degrado, abituati a vivere alla giornata, e attribuendo al bene della vita un valore relativo destinato a soccombere dinanzi ai bisogni impellenti del quotidiano, come quello di procurarsi una dose di stupefacente, una birra.