Bergamo, familiari vittime Covid: "Nell’emergenza, crimini contro l’umanità"

Una lettara all'Unione europea e Cedu per valutare la gestione e vigilare sulle indagini in corso

Alcuni parenti alla manifestazione del 10 giugno per il primo Denuncia-Day

Alcuni parenti alla manifestazione del 10 giugno per il primo Denuncia-Day

Bergamo, 12 luglio 2020 - Nuova iniziativa del comitato Noi denunceremo-Verità e Giustizia per le vittime Covid-19, nato su iniziativa del commercialista bergamasco Luca Fusco, di Brusaporto, che ha deciso di chiamare in causa l’Unione europea. Domani i componenti del comitato, che raccoglie oltre 500 familiari di vittime del coronavirus e che conta 60mila contatti sulla propria pagina Facebook, invieranno alla presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, e al presidente della Corte eropea dei diritti dell’uomo , Robert Ragnar Spanò, una lettera in cui si chiede di vigilare sulle indagini condotte dalla Procura di Bergamo.

Nell’occasione, nella mattinata di domani, il comitato consegnerà ai magistrati bergamaschi ulteriori 100 esposti, dopo i primi 50 depositati il 10 giugno. Le denunce riguardano le presunte carenze organizzative emerse durante l’emergenza sanitaria, in particolare la mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana e la gestione del pronto soccorso dell’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, chiuso e riaperto dopo due ore domenica 23 febbraio, giorno in cui arrivarono i tamponi positivi dei primi due contagiati ufficiali della Bergamasca.

I rappresentanti del comitato si ritroveranno alle 9.30 in Piazza Dante, proprio di fronte alla sede della Procura di Bergamo, dove è previsto l’arrivo di numerose persone provenienti non solo dalla Bergamasca e dal Nord Italia, ma anche dalle regioni del Centro Sud. Molte sono infatti le testimonianze raccolte da Roma, Puglia e Campania.

Intanto l’altro giorno, a proposito della mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana, il premier Giuseppe Conte, ribadendo quanto aveva riferito il 12 giugno ai magistrati bergamaschi che lo avevano sentito per tre ore a Roma come persona informata sui fatti, ha spiegato che la decisione fu una scelta politica che arrivò dopo un confronto all’interno del governo e con gli esperti. Non ci fu, ha sottolineato Conte, nessuna pressione da parte degli industriali lombardi e bergamaschi, ma la decisione passò principalmente da un criterio tecnico-sanitario. E cioè, quando ai primi di marzo si pose la questione, per i due paesi di Nembro e Alzano, a differenza di Codogno e degli altri comuni lodigiani immediatamente isolati, erano già trascorsi una decina di giorni e quindi molta gente aveva avuto modo di spostarsi, di subire ed esportare il contagio e c’era dunque la possibilità che altri focolai fossero già sorti in altre zone della nostra provincia. Meglio allora - fu il ragionamento del governo - istituire una zona arancione estesa a tutta la regione.

Il premier ha ribadito il concetto al canale di informazione spagnolo Nius: «Non ho avuto richieste da Confindustria. l’ho letto sui giornali, non è una cosa che mi riguarda, le valutazioni sono state fatte senza ascoltare Confindustria, assolutamente no», ha dichiarato Conte. Le presunte pressioni degli industriali per scongiurare la zona rossa in Val Seriana sono uno dei temi su cui l’indagine per epidemia colposa della Procura è chiamata a fare luce. Partite da imprenditori locali e in grado di condizionare le decisioni di Roma? Era la voce che circolava quando Nembro e Alzano, ai primi di marzo, si erano trasformati in una sorte di Deserto dei Tartari, con la popolazione impegnata a scrutare l’orizzonte in attesa dei militari dell’esercito, già concentrati in alberghi di Zingonia e Osio Sotto, pronti ad intervenire e alla fine mai comparsi nei due paesi già ostaggio del coronavirus.