Beni per oltre un milione confiscati al re della droga

Bernini è residente a Moio de’ Calvi in Valle Brembana ma abita in Brianza. Nel 2019 era stato condannato quale boss di una banda di narcotrafficanti

di Francesco Donadoni

Confiscati beni mobili e immobili per un milione e 100mila euro a Marco Bruno Bernini, 53 anni, narcotrafficante formalmente residente in un appartamento a Moio de’ Calvi, in Valle Brembana, ma domiciliato a Brugherio, in Brianza. Il provvedimento, emesso dal Tribunale di Milano - Sezione misure di prevenzione, è stato eseguito dagli investigatori della sezione operativa della Dia di Bologna, coadiuvati dai centri operativi di Milano e di Brescia. La confisca ha riguardato sei immobili tra fabbricati e terreni, tra le province di Bergamo, Milano e Monza-Brianza, un automezzo, numerosi conti bancari. Nel giugno 2019 Bernini, agli arresti domiciliari, era stato condannato dal Tribunale di Bologna a 16 anni nell’ambito dell’operazione “Double Game“ della Direzione distrettuale antimafia bolognese, poiché ritenuto capo di un gruppo di narcotrafficanti che nel 2014 aveva importato in Italia oltre tre tonnellate di hascisc dal Marocco. La droga viaggiava su yacht. Barche che partivano dal Marocco e via Spagna arrivavano in Italia, passando dalla Costa Azzurra.

Tutta l’indagine prende il via nel 2018, quando a Milano i narcotrafficanti avevano fatto arrivare millecento chili di hascisc. Secondo l’inchiesta, uno dei capi era proprio Bernini. Con lui sono finiti nei guai altre cinque persone, nell’ordinanza firmata dal gip Raffaella Mascarino.

Tutto lo stupefacente era stato nascosto in un garage intestato a un insospettabile magazziniere. Durante la perquisizione i poliziotti avevano scoperto un’intercapedine dietro a un muro da dove erano saltati fuori i panetti. Droga che nelle piazze del Nord avrebbe fruttato qualcosa come 11 milioni. Annodando i fili all’indietro, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire il giro dello stupefacente. L’hascisc era stato comprato a Tangeri fra i 100 e i 300 euro al chilo. I soldi, secondo l’accusa, erano stati messi a disposizione proprio dal Bernini.