Tovo, uccide il figlio e si impicca. Il parroco: "Chi soffre non si senta solo"

"La morte tragica di un papà e del suo bambino ha scosso la nostra comunità e ci ha lasciati increduli e addolorati" di GABRIELA GARBELLINI

Il dramma di Tovo, nel riquadro Protasio Sala

Il dramma di Tovo, nel riquadro Protasio Sala

Tovo Sant'Agata (Sondrio), 1 giugno 2016 - «Il silenzio è il grido più forte». Aveva postato così, alcune settimane fa, Piera Pini, mamma di Pietro Sala, 6 anni, (ucciso da padre Protasio domenica scorsa, per poi togliersi la vita) sul suo profilo Facebook. Una madre amorevole e premurosa, a detta di tutti, chiusa ora nel suo lacerante dolore. E ancora in un altro post sempre recuperato dalle frasi del Web: «Genitori (che lavoro meraviglioso!). Siamo Babbi Natale, fatine dei denti, befane, ghostbusters, uccidiamo i mostri sotto il letto e con un bacino curiamo le ferite, tutto in cambio di un vostro sorriso».

Parole ad oggi che mettono i brividi, poichè troppo grandi e personali i mostri della mente per essere individuati e, quando accade, spesso, è ormai troppo tardi come in questo caso. La nuvola di piombo dell’incertezza sul futuro e di una solitudine interiore che sempre troppo in pochi riescono a riconoscere in un tempo che trascorre inesorabile accarezzando strade, case, città deve aver ghermito il marito che ha portato con sè nel suo incomprensibile viaggio senza ritorno anche il piccolo Pietro. Avanzare motivazioni in certi casi diviene tanto inutile quanto inopportuno. Solo «il silenzio, la preghiera e il rispetto - proprio come spiega don Gianluca Dei Cas, parroco di Tovo, - hanno diritto ad esistere ora». Un richiamo all’autenticità e alla serietà dei rapporti con il prossimo nel più profondo spirito di corresponsabilità anche dei laici è, invece, l’accorato appello lanciato dal parroco di Grosio don Renato Lanzetti.

«La morte tragica di un papà e del suo bambino ha scosso la nostra comunità e ci ha lasciati increduli e addolorati.Tutti ci poniamo delle domande, le cui risposte forse non sapremo mai, perché fanno parte del mistero della persona umana. Certo, davanti a questo dramma constatiamo l’estrema fragilità dell’uomo, la sua vulnerabilità. Credo che dobbiamo avere grande rispetto di chi sta soffrendo, evitando di andare alla ricerca di particolari o di curiosità inopportune sulla vicenda. Viviamo, invece, questo dolore con riflessione, profonda e condivisa, e in quanto credenti nello spirito di preghiera fiduciosa, pur sofferta, continuando a sperare in Gesù che ha vinto la morte ed è risorto nella vicinanza discreta e concreta a chi sta portando una croce pesante. Come comunità dobbiamo coltivare maggiormente le relazioni vere e profonde, fatte di attenzione, di solidarietà quotidiana, di uno sguardo amichevole. E se ci capita di sentirci soli, di vivere momenti di disagio, addirittura di sentirci depressi e schiacciati da un grave problema, non dobbiamo aver paura di parlarne, di chiedere aiuto, di cercare una mano amica, perché sempre ci sono persone disposte ad ascoltarci e ad incoraggiarci».