I migranti, l’argine agli sbarchi e le contorsioni di D’Alema

L’accordo con il legittimo governo libico sta limitando il fenomeno

Soccorsi nel Canale di Sicilia

Soccorsi nel Canale di Sicilia

Milano, 7 settembre 2017 - Massimo D'Alema non perde l’abitudine di piegare i fatti a un’incurabile faziosità. Dire, come ha detto, che «siamo passati da una politica nella quale la priorità era salvare le persone a un’altra in cui la priorità è respingerle» non è solo falso, è stupido. Se dalle coste libiche partono meno gommoni carichi di migranti il primo effetto è che si riducono i rischi di naufragi e di morti annegati. Esattamente quello che è successo da quando il governo italiano ha stretto con il legittimo governo libico un accordo che prevede la fornitura di mezzi navali alla guardia costiera di Tripoli perché fermi il traffico di esserei umani.

A questo si sono aggiunte intese anche con sindaci e milizie locali per sostituire i proventi dell’economia illegale procurati dagli scafisti. Anche il codice di comportamento per le Ong, vietando rapporti diretti con i trafficanti, ha contribuito a scoraggiare gli imbarchi più avventurosi. Il primo risultato di queste iniziative è che in agosto nel canale di Sicilia non c’è stato un solo morto annegato. Il secondo è che si è decisamente ridotta – meno 20 per cento rispetto al 2016 – la pressione dell’immigrazione clandestina. Il terzo è che, smettendola con il fatalismo umanitario e con la resa agli scafisti, dando cioè finalmente prova di voler governare l’immigrazione - senza rinunciare a salvare chi è in pericolo -, l’Italia ha fatto pace con l’Europa. Persino dalle opposizioni non sono mancati i riconoscimenti a Gentiloni e a Minniti. D’Alema invece ha colto l’occasione per falsificare la storia contrapponendo Berlusconi a Prodi nei rapporti con Gheddafi, quando tutti sanno che entrambi, chi più chi meno, trattarono con il dittatore il contenimento dei migranti in cambio di sostanziosi aiuti. Non contento, D’Alema si allinea col fatalismo umanitario, s’impegna in fosche previsioni, sicuro che a causa delle scelte del governo italiano «aumenteranno i morti nel deserto e nei campi libici», fino a eccedere il numero di quelli che fino a un mese fa morivano in mare.

Mi viene in mente quando, da presidente del Consiglio, accolse in Italia - promettendogli l’asilo politico - il leader curdo Ocalan. Poco dopo, di fronte alle proteste turche, con un incredibile voltafaccia lo affidò al governo del Kenya perché lo riconsegnasse ai turchi che l’avevano condannato a morte. Ma di voltafaccia e di intrighi è intessuta tutta la lunga carriera di D’Alema. Fin dagli esordi. Indimenticabile il modo in cui insieme ad Achille Occhetto, alla fine degli anni Ottanta, annunciò le dimissioni - mai date - di Alessandro Natta, segretario del Pci, dal suo letto di ospedale. Per non parlare degli accordi segreti con Rocco Buttiglione e Umberto Bossi per scardinare nel ’94 il primo governo Berlusconi, con tanto di battesimo della Lega eletta a «costola della sinistra»! Ma il capolavoro tattico di D’Alema resta la caduta del governo Prodi. Anziché appianare i dissidi insorti con la sinistra di Bertinotti, D’Alema, segretario del Pds, manovrò per sfruttarli. Così, dentro il Pds di giorno si reclamava lo «spostamento a sinistra dell’asse del governo» denunciando la subalternità a Prodi del vice presidente Veltroni e di notte, con Cossiga e Mastella, si tesseva l’ordito di una nuova maggioranza senza Rifondazione comunista.

Costretto Prodi alle dimissioni, al suo posto Scalfaro incaricò D’Alema di formare un nuovo governo chiaramente spostato più a destra. Così a destra che di lì a poco, unico caso in tutta la storia repubblicana, l’Italia partecipò attivamente al bombardamento di Belgrado, una capitale europea. Ma quelli erano i tempi della piena consonanza dalemiana con la Terza via di Clinton, Blair, Schroeder, della globalizzazione senza riserve, delle riforme del mercato del lavoro e delle pensioni in aperto conflitto con la Cgil di Cofferati. Altro che il Jobs Act, la Camusso e le spese in deficit di Renzi! Rottamato da Renzi, D’Alema gliel’ha giurata. Prima ha capeggiato la fronda interna che ha votato no al referendum, poi la scissione dal Pd sempre in nome di quei «valori di sinistra» che dileggiava quando aveva il pallino in mano. Più che a un politico ormai assomiglia a un contorsionista.