La Cassazione dà torto al boss: non ha diritto alla tv in cella

È sottoposto al carcere duro. E i giornali non gli bastavano

Detenuti guardano la televisione

Detenuti guardano la televisione

Milano, 28 novembre 2017 - I giornali non li compra. E non ha la radio in cella. Per sua scelta. Per Vincenzo Forastefano, boss recluso al 41 bis a Opera, informazione fa rima solo con televisione. Peccato che il regime del carcere duro non preveda la tv dietro le sbarre. E i giudici della Cassazione glielo hanno ribadito qualche giorno fa, confermando il «no» del magistrato di sorveglianza.

In sostanza, il 44enne originario della cosentina Cassano allo Ionio, arrestato nel 2008 dai carabinieri e condannato in via definitiva a 24 anni come capo clan dell’omonima cosca di ’ndrangheta, ha fatto ricorso lamentando «la violazione del diritto all’informazione, segnatamente l’asserito inibito accesso all’informazione televisiva». In prima istanza, il tribunale di Milano ha ritenuto infondata la richiesta di Forastefano. Stesso verdetto anche dalla Suprema Corte, che ha ritenuto corretta la prima decisione: per detenuti come Forastefano, esclusi dalle attività in comune, il regolamento «non include la dotazione dell’apparecchio televisivo, garantendo e assicurando al detenuto il diritto all’informazione, i colloqui visivi e telefonici con difensori e familiari, il vitto ordinario, il quotidiano monitoraggio sanitario». Detto altrimenti: «Non bisogna confondere il diritto soggettivo con le modalità di esercizio di esso».

Forastefano, quindi, ha i mezzi per sapere cosa succede nel mondo. Che poi lui ritenga inadeguati radio e giornali a soddisfare il suo desiderio di informarsi è altro paio di maniche: «Le modalità di esplicazione del diritto – tagliano corto i giudici – restano affidate alle scelte discrezionali dell’amministrazione penitenziaria in funzione delle esigenze di ordine e disciplina interne, che, ove non manifestamente irragionevoli ovvero sostanzialmente inibenti la fruizione del diritto, non sono sindacali in sede giurisdizionale». Niente tv per il boss al 41 bis, insomma. Condannato a 24 anni dalla Corte d’assise d’appello di Catanzaro, Forastefano è stato a lungo il leader della cosca legata alla “locale” di Sibari che taglieggiava gli imprenditori della zona e gestiva l’immigrazione clandestina e l’impiego di manodopera in nero, con tanto di truffa all’Inps e fittizie assunzioni di braccianti agricole in cooperative di comodo.

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