Umberto Smaila: per Milano ha fatto a pugni. "Innamorato pazzo della città"

Il cabarettista racconta i suoi esordi di Massimiliano Chiavarone

Umberto Smaila a Milano

Umberto Smaila a Milano

Milano, 5 ottobre 2014 - “Per Milano ho fatto anche a pugni”. Lo racconta Umberto Smaila. 

Si era innamorato di una milanese?

No, della città. Qualche volta mi è anche capitato di arrivare alle mani per difenderla. Per Milano provo un attaccamento morboso. Qui ho ricevuto molto di più di quello che ho dato. Se mi ricordo che nel 1971…

Cos'era accaduto?

La mia prima volta a Milano con i Gatti di Vicolo Miracoli, cioè io, Jerry Calà, Nini Salerno e Franco Oppini,  reduci da un soggiorno a Roma di alcuni mesi. Eravamo un gruppo di studenti che amava cantare negli spettacoli di piazza a Verona. Caso volle che una sera dell’anno prima ci ascoltò l’annunciatrice Rai Gabriella Farinon e suo marito, il regista Dore Modesti. Subito ci segnalarono a "Speciale per voi" in onda sul Secondo canale della Rai e condotto da Renzo Arbore. Fummo invitati a prendere parte al programma e poi restammo nella capitale altri tre mesi. A un certo punto i soldi finirono e io vendetti i miei LP per comprare il biglietto del treno per Milano.

Venne qui da solo?

No, ognuno di noi si arrangiò per pagarsi il viaggio. Ma finalmente eravamo a Milano, anche se senza soldi né un tetto. Il nostro agente una sera ci portò in una casa lussuosa a San Siro. Il padrone di casa era il Mago Zurlì, alias Cino Tortorella. 

Si presentò vestito con il mantello e la calzamaglia?

No, ma per noi fu un'apparizione magica. Ci fece fare alcuni sketches e poi disse: “Ora vi porto al ristorante. Domani vi presento i miei amici che possono darvi una mano”. 

E fu subito Derby?

Sì, cominciammo a lavorare con Arturo Corso, assistente di Dario Fo e debuttammo nel febbraio del 1971 con lo spettacolo "Giullarata". Che soddisfazione. Noi però avevamo il problema abitativo. Dormivamo nei sotterranei del Derby di via Monte Rosa 34 e il Duomo lo vedemmo dopo tre mesi. 

Riusciste anche a trovare casa?

Sì, nella pensione "Doremifasollasi" in viale Montello, tranne Franco che andò a vivere dalla sua zia milanese. Io, in cambio di porzioni più generose a pranzo e a cena, davo lezioni di pianoforte al figlio della padrona, ma era una frana e lo bacchettavo sulle mani tanto da farlo piangere. Vivevamo in una sola stanza, io, Jerry e Nini. La situazione peggiorò quando Jerry decise di adottare un gatto randagio che chiamò “Calò” e se lo portò in camera. La convivenza con quel felino era diventata insostenibile, graffiava e soffiava contro tutti mentre a Jerry faceva le fusa.

Urgeva cambiare indirizzo?

Il nuovo fu via privata dei Cybo. Ma anche se continuavamo a lavorare, la paga non era mai abbastanza. Stavamo per gettare la spugna, quando arrivò la telefonata dell’immancabile Mago Zurlì. Sembra una favola, ma fu Cino che ancora una volta ci salvò facendoci lavorare in Rai. L’anno dopo, il 1977, entrammo nel cast del mitico programma tv “Non stop” ed “esplodemmo”. Raggiungemmo quella notorietà che anni dopo ebbero La Smorfia oppure Aldo, Giovanni & Giacomo. Qui a Milano facemmo un altro incontro: per cinque anni il nostro tecnico alle luci fu Diego Abatantuono prima che diventasse famoso. Mi fanno ancora male le mandibole per le risate che ci facemmo.

Insomma Milano è stata il suo “Colpo Grosso”?

Senza dubbio. E poi quella trasmissione che ho condotto dal 1987 al 1991 e registrato a Cologno Monzese mi ha regalato una notorietà pazzesca. Perfino in Giappone mi hanno riconosciuto. Erano gli anni in cui ognuno di noi è andato per la propria strada anche se con qualche incomprensione che poi abbiamo superato.

La via di Milano che preferisce?

La via Tommaso Salvini, in cui ho abitato per 16 anni. Sembra un pezzo di Parigi, trasferito di peso a Milano, ma privo di rumori. E’ un quadrilatero del silenzio, incorniciato dall’arco disegnato da Piero Portaluppi. Ma anche qui mi dovevo far riconoscere: spesso mi affacciavo alla finestra e urlavo al fruttivendolo di sotto di portarmi una fetta d’anguria.

Sa parlare anche il milanese?

A Milano, in realtà, ho imparato il “Gorge”, un gergo fatto di abbreviazioni e parole all’incontrario che in origine usavano i macellai e che ho appreso da Enzo Jannacci, Massimo Boldi e Cochi e Renato.

Un esempio?

“Chi non capisce Milano non capisce un….zoca”.

di Massimiliano Chiavarone mchiavarone@yahoo.it

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