Camere di Commercio, è risiko: in Lombardia tagli e accorpamenti

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Gian Domenico Auricchio

Gian Domenico Auricchio

Milano, 9 agosto 2015 - Il risiko è già partito. Finita la guerra sul taglio delle Province, sulla città metropolitana e sugli accorpamenti che non sono stati fatti, ora tocca alle Camere di Commercio. Il decreto per la riforma della Pubblica amministrazione, passato martedì scorso, produce effetti, trattative, liti e negoziati politici anche in Lombardia. La scure, stando alle decisioni di Roma, dovrà cadere su tutti quegli enti che non hanno un numero di iscritti che raggiunga il tetto: 80mila aziende inserite nel registro. E la situazione in Lombardia, dove si concentrano pure moltissime delle imprese di tutto il Paese, non fa eccezione.

Nessun dubbio sulla sopravvivenza della Camera di Milano: oltre 400mila società che ne fanno parte la mettono al riparo da ogni riforma. Anche Monza, con 89mila imprese iscritte e 68 dipendenti, in teoria, ha i numeri e, soprattutto, la snellezza burocratica per sopravvivere in autonomia: l’altro requisito della riforma, infatti, è quello di rinunciare a parte delle società di servizi, alle poltrone, e soprattutto alle spese. Monza condivide già molte attività con Milano e potrebbe dunque restare sola. Ma non sarà, probabilmente, così. Trattative discrete, non senza qualche ostacolo, sono da tempo in corso con altre realtà vicine: quella di Lecco, ad esempio. Lo scopo di un accorpamento - anche quello non detto - è di restare la realtà principale, il punto di riferimento. Cosa che non accadrebbe in caso di unione con Milano.

Lecco e Como, a propria volta, stanno già discutendo (e anche litigando) per provare la strada dell’aggregazione. Non senza ostacoli. Rivalità politiche, ma anche territoriali, entrano nel discorso. E in uno studio firmato dal senatore Pd Massimo Mucchetti si traccia uno scenario ancora più avanzato: Como, Lecco, Sondrio e Varese, tutte sotto lo stesso cappello. Arriverebbero così a raccogliere oltre 200mila iscritti e oltre duecento dipendenti. Quota sufficiente per avere una dimensione paragonabile con le più grandi realtà.

Gli scenari di unioni e accorpamenti non terminano qui. Bergamo e Brescia, ancor più di Monza, restano ampiamente sopra la soglia di rischio: oltre 100 dipendenti, oltre 110mila aziende iscritte, per un totale di tre sedi ciascuna. Non hanno le medesime prospettive, invece, le Camere di Commercio dell’area della Bassa Padana. Da Pavia a Mantova è tutto un grande lavorio diplomatico. A Pavia, ad esempio, l’interrogativo fondamentale in queste ore è Lodi o Cremona? Queste sono infatti le ipotesi per l’accorpamento della Camera in riva al Ticino. Entro l’autunno la riforma dovrà andare a regime e i tempi stringono: Pavia ha solo 53mila iscritti. Troppo pochi. A conti fatti, a Roma, sperano in un’aggregazione trasversale di tutte le realtà che vanno da Est a Ovest: Pavia, Lodi, Cremona e Mantova. In tutto, raggiungerebbero quota 168mila iscritti e con 216 dipendenti. L’estate porterà consiglio.

Intanto, i tagli si faranno sentire. E sostanzialmente. Il Governo ha già deciso la riduzione del 35 per cento degli oneri che ogni anno le aziende iscritte devono pagare all’ente. Milioni di euro, che imporranno una sostanziosa riduzione delle attività. Ma da affrontare, in caso di accorpamento, ci sono anche le questioni occupazionali. Le Camere di Commercio sono enti pubblici, e i dipendenti in esubero potrebbero finire in altre amministrazioni, locali o centrali, dello Stato. I sindacati stanno già scendendo in campo, obiettivo: scongiurare tagli.

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