Matrimonio in punto di morte nullo: cavillo formale cancella una coppia

Sentenza della Cassazione sul rito dopo convivenza ventennale. La moglie rischia di perdere tutto quello che aveva ereditato dal marito sposato in punto di morte, dopo la denuncia della cognata, che dubitava della buona fede Pa.Pi.

Due sposi in chiesa al matrimionio

Due sposi in chiesa al matrimionio

Como, 4 luglio 2014 - Una vicenda che sembra non avere fine, tra continui ribaltamenti di sentenze, per smentire o confermare la validità di un matrimonio celebrato il 21 novembre 2007 alla clinica San Benedetto di Albese con Cassano, dove Corrado Patricolo, avvocato di 55 anni, era ricoverato ormai in condizioni di salute vegetative a causa di un aneurisma. Nozze che all’epoca, il parroco di Moltrasio, don Bartolomeo Franzi, celebrò in “articulo mortis”, in applicazione di una procedura rara ma largamente riconosciuta dal codice. Ora la Corte di Cassazione, dopo sette anni, ha annullato quelle nozze, con conseguenze tutt’altro che trascurabili: la moglie, Chiara Capra, 62 anni, rischia infatti di perdere tutto ciò che aveva ereditato da quell’unione, compresa la casa dove avevano vissuto lungamente insieme, e la pensione di reversibilità. Nominata già in precedenza dal Tribunale Civile amministratore di sostegno del compagno, quando era andato in coma, aveva chiesto di poter celebrare il matrimonio dopo una convivenza quasi ventennale. A portare davanti ai giudici questa vicenda, nel 2009, era stata la sorella di Patricolo, che dubitava della buona fede di quella celebrazione, presentando denuncia l’anno precedente.

A processo erano così finiti la moglie di Patricolo e i due testimoni della cerimonia, oltre al parroco – che aveva chiesto autorizzazione al Vescovo e poi annotato a margine dell’atto le condizioni cin cui era avvenuta l’unione - e all’impiegata dell’anagrafe di Albese con Cassano che aveva trascritto l’atto. Per tutti l’accusa, era di falso ideologico, ritenuti responsabili di aver attestato e sottoscritto che entrambe le parti avevano prestato il mutuo consenso alla celebrazione del matrimonio, pur essendo Patricolo impossibilitato a farlo: erano stati tutti assolti, tranne l’impiegata comunale. Quest’ultima si era limitata a trascrivere il documento secondo la procedura prevista: acquisizione del certificato di matrimonio redatto dal parroco, verifica che non vi fossero provvedimenti di interdizione, affissione pubblica e trascrizione. La sentenza di Appello, due anni dopo, aveva però sollevato anche quest’ultima imputata da ogni responsabilità, ma allo stesso tempo confermato la sentenza circa la validità della trascrizione di quell’atto. Esito confermato ora anche dalla Corte di Cassazione, lasciando un’unica possibilità per salvare quel matrimonio: la causa civile.