Uccise il figlio di 3 anni a forbiciate, prima uscita in libertà per Aicha

Aicha Christine Eulodie Coulibaly, la 26enne di Abbadia Lariana originaria della Costa d’Avorio che la mattina del 25 ottobre 2013 ha ucciso il suo Nicolò di appena tre anni con una forbiciata al petto, nei giorni scorsi ha abbandonato per qualche momento la clinica mantovana per un giro a piedi nei paraggi e per bersi un caffé in libertà in un vicino bar di Daniele De Salvo

Aicha Christine Eulodie Coulibaly durante il processo

Aicha Christine Eulodie Coulibaly durante il processo

Abbadia Lariana (Lecco), 4 febbraio 2015 - È già uscita dall’ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere dove dovrà trascorrere i prossimi quattro lustri e che sarà la sua casa sino al 2024. Aicha Christine Eulodie Coulibaly, la 26enne di Abbadia Lariana originaria della Costa d’Avorio che la mattina del 25 ottobre 2013 ha ucciso il suo Nicolò di appena tre anni con una forbiciata al petto, nei giorni scorsi ha abbandonato per qualche momento la clinica mantovana per un giro a piedi nei paraggi e per bersi un caffé in libertà in un vicino bar. Non da sola naturalmente, ma scortata e accompagnata dagli operatori della struttura detentiva. A confermare la sorta di permesso premio dell’infanticida a poco più di un anno di distanza dalla tragedia è il suo avvocato difensore Sonia Bova, che l’altro ieri, come avviene ormai mensilmente, è andata a trovare la donna, che più che una cliente ormai considera una sorella minore da aiutare e accompagnare nel difficile percorso di riabilitazione:

«Ha avuto l’opportunità di una veloce passeggiata in zona, sotto la supervisione degli assistenti sociali o degli altri incaricati che la stanno seguendo – spiega -. Si è trattato di una specie di assaggio di libertà». L’ivoriana del resto non si trova agli arresti, il 22 ottobre scorso è stato stabilito che quando ha sferrato il colpo letale non era capace di intendere né di volere, quindi non è imputabile e nemmeno condannabile. Nel contempo però ne è stato disposto l’internamento coatto perché ritenuta socialmente pericolosa. «Mi sembra che stia meglio e che abbia compiuto notevoli progressi, è persino stata trasferita in un altro settore – aggiunge il legale -. Ha acquisito ulteriore consapevolezza di quanto ha commesso, non incolpa nessuno se non se stessa».

Contina a ricordare il suo bimbo ma anche la secondogenita scampata al raptus omicida, vorrebbe vederla, abbracciarla, ma sa che non sarà semplice. «E’ come rassegnata e insieme rammaricata perché se forse avesse chiesto aiuto in maniera più convinta e palesato il disagio e la sofferenza che stava affrontando magari non sarebbe accaduto nulla di quello che invece è avvenuto, Ma è pure conscia che non può tornare indietro». Trascorre il periodo di internamento tra attività sportive, laboratori, colloqui terapeutici e socializzando con le altre madri come lei, specie con le più giovani, sue coetanee. La speranza che nutre è quella di tornare presto libera, definitivamente non per una semplice gita fuori porta e di ricostruirsi un’esistenza magari prima della scadenza dei termini imposti dai magistrati.