Il mondo dei soldi e la buona economia

Buona economia, leva di sviluppo e benessere. Oppure economia rapace, che divora persone e destini. Nel mondo degli interessi e dei soldi, s’incrociano tensioni e valori diversi. Conoscerli bene, aiuta a giudicarli e, perché no? a governarli. Anche la letteratura migliore suggerisce come farlo di ANTONIO CALABRO'

Milano, 24 aprile 2016 - Buona economia, leva di sviluppo e benessere. Oppure economia rapace, che divora persone e destini. Nel mondo degli interessi e dei soldi, s’incrociano tensioni e valori diversi. Conoscerli bene, aiuta a giudicarli e, perché no? a governarli. Anche la letteratura migliore suggerisce come farlo. Ne sono un buon esempio le pagine di Montecristo di Martin Suter, Sellerio. Il protagonista è Jonas Brand, videoreporter intraprendente e aspirante regista di Basilea, che nell’arco di un paio di giorni s’imbatte nello strano suicidio d’uno spregiudicato trader finanziario e in due banconote da cento franchi svizzeri dal numero di serie assolutamente identico, un evento impossibile. Tra i due fatti emerge un cupo legame. E sulla scena irrompono banchieri senza scrupoli, lobbisti, giornalisti economici di buona memoria, gente allegra e cinica della Tv, poliziotti un po’ inetti un po’ complici, gente che vive di traffici sulla stretta linea di confine tra lecito e illecito. C’è la Svizzera, sullo sfondo, quella dei capitali da proteggere, dei segreti, delle trame che sconfinano nei crimini e negli omicidi: gli ambiti di un paese dall’apparenza severa e dall’anima sordida, che Suter racconta con disincanto critico e affilata ironia (e l’eco magistrale di Durrenmatt e Glauser). Svizzera come metafora d’un mondo. Della finanza peggiore.

Ne analizza limiti e ombre Angus Deaton, premio Nobel per l’Economia 2015, in La grande fuga- Salute, ricchezza e origini della diseguaglianza - Il Mulino: la crescita economica non si tramuta automaticamente in aumento del benessere per la popolazione, il Pil (il Prodotto interno lordo) è un indicatore di quantità ma non di qualità dello sviluppo, gli aiuti internazionali ai paesi più poveri spesso sono nocivi per la loro crescita equilibrata (finiscono nelle mani di classi dirigenti corrotte) e la sfida da cogliere, allora, è quella del miglioramento delle condizioni di vita, della diffusione degli effetti positivi delle conoscenze scientifiche, dell’aumento della “capacità sociale” di cogliere le opportunità dell’innovazione, del progresso tecnologico, della ricchezza diffusa. Economia giusta, in prospettiva.

La scommessa sta tutta nella qualità dello sviluppo. Nell’azione di attori sociali positivi, come le buone imprese innovative. Lo spiega bene Marco Magnani in Terra e buoi dei paesi tuoi, Utet, ovvero “scuola, ricerca, ambiente, cultura, capitale umano: quando l’impresa investe nel territorio”. Radici, nelle antiche competenze manifatturiere d’origini artigiane. E abitudine a una misura umana dei servizi, in un’economia in cui contano le comunità. Ma anche sguardo internazionale. E capacità di valorizzare le attitudini delle persone. C’è, nelle pagine di Magnani, l’eco dell’”umanesimo industriale” di Adriano Olivetti e dei Pirelli, così come la lezione di imprese attuali come Loccioni, Barilla, Lunelli, Cucinelli, Elica, Dompé, il buon “quarto capitalismo” delle “multinazionali tascabili”, di quelle aziende che sanno coniugare competitività e sostenibilità, etica e profitto. Temi forti. Indicazioni di prospettiva. Su cui ragiona Rosanna Celestino in Immaginare il futuro” L’impresa come comunità generativa -, Guerini Next: storie e dialoghi con imprenditori e manager su creatività, condivisione d’impegni positivi, reciprocità, responsabilità. “Le regole del vivere sociale e dell’economia non sono ineluttabili leggi della natura” ma conseguenze di scelte, comportamenti, azioni secondo indicazioni che legano interessi e valori. Buona economia possibile, appunto.