Sguardi lucidi e ironici di autentici intellettuali

Il lavoro intellettuale. Come professione. E sguardo civile sul mondo

Milano, 7 maggio 2017 - Il lavoro intellettuale. Come professione. E sguardo civile sul mondo. Ne sono interpreti esemplari Leonardo Sciascia e Vito Laterza, come testimonia il carteggio 1955-1988 pubblicato da Laterza e intitolato “L’invenzione di Regalpetra”. Si comincia con le lettere dopo l’incontro iniziale, avvio d’un confronto aperto da cui nasceranno il primo libro di Sciascia, “Le parrocchie di Regalpetra” appunto, e altri saggi successivi (“Morte dell’inquisitore”, per esempio). Si va avanti, per anni (e passando dal rispettoso “lei” all’affabile “tu”) discutendo di letteratura, Mezzogiorno, politica e gusto per la “civiltà delle lettere” che aiuti la qualità stessa del discorso pubblico e della democrazia. Scrittura come responsabilità. Editoria come impresa e opportunità per la diffusione della buona cultura (la collana “I libri del tempo” è testimonianza ancora attuale), svelando nuovi autori, riflettendo sui maestri (partendo da Croce). La parola è strumento di ragione (l’illuminismo riletto da Sciascia), facendo bene libri che durino. Ed è impegnativo piacere. Lo conferma Alberto Arbasino in “Ritratti e immagini”, Adelphi: antologia personalissima di scritti su libri e mostre d’arte, opere liriche e rappresentazioni teatrali, architetture e manie sociali.

La prosa è sempre acuta, ironica, spiazzante. E nelle righe scorrono le osservazioni critiche su gran parte della migliore cultura del Novecento, da Berg a Camus, da Berenson a Bernstein, da lord Acton a Firenze alla Scuola di Francoforte guidata da Adorno, da Marlene Dietrich a Greta Garbo o ai film dei fratelli Marx e così via. Ricordando e citando. Si segue una “estetica dei luoghi e dei cognomi”. C’è un gusto speciale per le polemiche su letterati “privi di eros e di esprit e di senso della battuta” (ne fanno le spese anche Pascoli e De Amicis). E un sofisticato piacere per l’irriverenza e la dissacrazione dei luoghi comuni artistici, come su Proust “maniaco di mondanità e snobismo”, compatendo comunque la sua “Recherche” purtroppo “ridotta al gadget della madeleine”. Si gioca d’ironia (e d’affettuosi ricordi) pure in “Autobiografia involontaria” di Maurizio Nichetti, Bietti. Tutto comincia in un cortile di Calvairate, periferia milanese, durante una festa popolare del Pci, nel 1958, con un bambino chiamato sul palco per fare “le imitazioni”. E si continua mescolando memoria e giudizi d’attualità tra film (i suoi “Ratataplan”, “Ladri di saponette”, “Ho fatto splash”, “Volere volare”), Tv, pubblicità. Centrale l’esperienza della collaborazione con Bruno Bozzetto per il cinema d’animazione. Aneddoti. Personaggi. Racconti. In una Milano-Italia che cambia consumi e costumi, sino al “digital” di oggi. Che si riflette nel libro, multimediale: nelle pagine dieci QRcode consentono ai lettori di entrare nel mondo audiovisivo di Nichetti, con gli spezzoni dei suoi film e dei programmi Tv. Viaggio nel tempo e nelle immagini.