Mafia, drammi e sangue. Come fosse la normalità

La mafia È inganno. Minacce. E omertà. Ne è straordinario narratore Andrea Camilleri, in “La mossa del cavallo”

Milano, 22 aprile 2017 - La mafia È inganno. Minacce. E omertà. Ne è straordinario narratore Andrea Camilleri, in “La mossa del cavallo”, ripubblicato da Sellerio (edito la prima volta nel 1999 da Rcs), romanzo tra i suoi migliori. In scena personaggi della Sicilia ottocentesca, in un gioco ironico che intreccia furbizie, burocrazie, interessi, prepotenze mafiose. Si muove in modo speciale, il cavallo, nel gioco degli scacchi. Può scavalcare gli altri pezzi, in orizzontale e in verticale. Parte da una casella nera e finisce in una bianca o viceversa. Un capovolgimento, appunto. Proprio ciò che succede al protagonista del libro, Giovanni Bovara, ispettore capo dei mulini, un funzionario del fisco, siciliano d’origine e genovese d’educazione, che arriva a Vigàta, nell’autunno 1877, per controllare l’applicazione dell’impopolare tassa sul macinato e si muove con severità, incurante di lusinghe e minacce (che arrivano da don Cocò Afflitto, capomafia). Raccoglie le ultime parole d’un prete, don Carnazza, libertino e usuraio, abbattuto a fucilate, che gli indica l’assassino. Decide di testimoniare. E si ritrova imputato proprio di quell’omicidio. L’inganno contro la ragione. Il potere contro il diritto. Ma il cavallo... Quegli intrecci, un secolo e mezzo dopo, hanno sapore d’attualità. Lo confermano le pagine di “La vera storia del bandito Giuliano” di Tommaso Besozzi, ripubblicato da Le Milieu, con una prefazione di Ferruccio de Bortoli. Il libro era uscito la prima volta nel 1959, ricostruzione accurata dei reportages che Besozzi, forse il miglior giornalista di cronaca italiano del Novecento, aveva scritto nel luglio 1950 per “L’Europeo” sull’uccisione di Salvatore Giuliano in Sicilia. 

«Di sicuro c’è soltanto che è morto», era il primo titolo di quell’inchiesta, un esempio di grande giornalismo investigativo. Vi si smontava la versione ufficiale del ministero degli Interni, su Giuliano ucciso in un conflitto a fuoco con i carabinieri, si documentava l’assassinio per mano del cugino e braccio destro Gaspare Pisciotta, d’accordo con i carabinieri. Dietro, i legami tra mafia, proprietari terrieri, politici, pezzi dello Stato. Trame e tradimenti. Su cui Besozzi scrive cronache esemplari. Da rileggere. Un mondo torbido. Raccontato da Angelo Siino, per anni cardine dei rapporti tra mafiosi e imprenditori, in “Mafia - Vita di un uomo di mondo” ovvero “l’autobiografia del più famoso pentito di mafia”, scritta con Alfredo Galasso, il suo storico avvocato, per Ponte alle Grazie. Siino era “il ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra” e ha tenuto a lungo i rapporti tra i boss Bontate, Riina, Provenzano, i politici, i costruttori e i riciclatori dei soldi di mafia nelle grandi città del Nord. Corruzione e violenza. E la vita quotidiana di killer e capi delle cosche, raccontati “dall’interno”, tra soldi, “schiticchiate” (grandi pranzi) e ordini di omicidi ed estorsioni. Drammi e sangue, come normalità.