Camilleri: "La vera droga è vivere la mia vita: lasciatemi divertire, io sono così"

Lo scrittore siciliano presenta i suoi ultimi racconti al Teatro Franco Parenti

Andrea Camilleri

Andrea Camilleri

Milano, 1 novembre 2017 - Andrea Camilleri, a Milano, ricorda: «Mia moglie Rosetta ci venne portata da putta, a 3 mesi. Qui ha studiato fino al primo anno di università. Poi il padre, che era detto banchiere, in realtà bancario, fu trasferito. E lei finì gli studi a Roma. Stava per partire con me, ma si è ammalata. Non ha potuto fare il pellegrinaggio. Ogni volta che veniamo a Milano, torniamo in via Sardegna, dove abitava. Le ho promesso che entro Natale torneremo solo per questo». Rosetta, la giusta impietosa. «Ho fatto - calcola lo scrittore - 120 spettacoli di teatro, di fronte a critici che si chiamavano Silvio D’Amico, Renato Simoni... Il giudizio che temevo era il suo. La prova più terribile, leggerle ad alta voce un racconto: “Mmh”, mugugnava. M’infuriavo. E lei: allora non leggermelo! Coglieva un nervo scoperto, e io riscrivevo tutto daccapo».

Gli ultimi racconti sono riuniti in “Esercizi di memoria” (Rizzoli). Presentati al Teatro Franco Parenti. Assiso su un trono l’autore siciliano, affiancato da tre dei cinque illustratori del volume. Straripante entusiasmo, la platea: «Bella, bella, la sento». Non può vederla, Camilleri. Così come non può, da alcuni anni, scrivere e leggere. Deve dettare, e farsi leggere e rileggere: «Dopo la prima disperazione, vera, mi è venuto in soccorso il teatro. Ho incominciato a costruirmi un palcoscenico. Dove vedere i miei personaggi muoversi. Così da non lasciarmeli sfuggire». Eccoli comparire in scena. Il brigante filosofo, il killer strangolatore, il censurato Eduardo De Filippo. Annunciati dalla conduttrice Lella Costa, interpretati da Manuela Mandracchia, che di Camilleri è stata allieva, e ora sfoglia le pagine della generosissima memoria dell’ultranovantenne: «Ho solo ricordi divertenti», spiega lui. Persino se si tratta di droga: «Mi son fatto una sola canna. Tale il disgusto, che ho fumato subito 3 sigarette. La vita è la mia droga, lasciatemi divertire». Voleva tenerli per sé, i ricordi, poi le ha regalati al pubblico.

Il premio più memorabile? «Conferito dalla giuria riunita su un peschereccio dell’isola di Ouessant, nord della Francia, base per la pesca d’alto mare, fin oltre il circolo polare artico. Un premio letterario destinato a uno scrittore nato in una qualsiasi isola del mondo. Il mio romanzo “Il birraio di Preston” fu dichiarato vincitore con la seguente motivazione: “Bon livre”. Senza scomodarmi, nella lettera con le congratulazioni il sindaco mi pregava di mandargli le coordinate bancarie. Gente concreta da quelle parti, di poche parole». Come l’edicolante napoletano? «Nel ’45, la stazione di Napoli non esisteva più. Durante la sosta del treno con i viaggiatori fin sopra i tetti delle vetture, scesi solo io. A cercare il numero di “Les Nouvelles littéraires” con un articolo di Sartre. Tra cumuli di macerie, su una sedia di paglia, scorsi giornali accatastati. Su un’altra sedia, un grasso edicolante, chiamiamolo così. Senza rispondere alla mia richiesta, mi scagliò contro una pernacchia». E alla fine, resta solo da scoprire chi era il vero commissario Camilleri, ispiratore di Montalbano.