Skin, da X Factor alle “seconde nozze” con Skunk Anansie

Stasera il concerto sold out già da mesi di ANDREA SPINELLI

Deborah Anne Dyer in arte Skin

Deborah Anne Dyer in arte Skin

 Milano, 17 febbraio 2016 - Skin, finalmente. Dopo mesi catodici, passati a combattere con l’italiano davanti alle telecamere di “X-Factor”, la cantante degli Skunk Anansie torna a vestire i panni della rockstar. E lo fa questa sera sul palcoscenico dell’Alcatraz, esaurito fino all’ultimo posto già da mesi, con uno show nel segno del nuovo album “Anarchytecture” e della ritrovata voglia di darsi in pasto alle sudate legioni di fans che l’attendevano ormai da quasi due anni.

“Anarchytecture” è il secondo album d’inediti dalla reunion nel 2009 con Ace, chitarra, Cass, basso, e Mark Richardson, batteria prima dietro l’acronimo di SCAM e poi nuovamente col marchio di fabbrica. «Più che ‘reunion’ preferiamo chiamarle ‘seconde nozze’, per meglio sottolineare qual è il rapporto che c’è tra di noi» spiega. «Naturalmente rispetto alla prima volta siamo cambiati, c’è più maturità, meno ego, ci divertiamo, siamo più rilassati e anche un po’ più stupidi». Anche se nel caso di Skin , all’anagrafe Deborah Anne Dyer, 48 anni, la parola “nozze” è da prendere con le molle visto il naufragio appena un anno fa del matrimonio con la produttrice americana Christiana Wyly.

«Con quest'ultimo album volevamo cercare di creare una casa di vetro, da cui si vedesse il caos, le persone che lottano nel loro quotidiano. Ma pure qualcosa di più ampio che cerca anche di rispecchiare i tempi che corrono, tra ordine e disordine».

Abbandonati i panni di terrorista della lingua, la cantante di Brixton è tornata alla sua passione per le arti figurative, affidando la copertina di “Anarchytecture” all’italiano No Curves, l’uomo che ha reinventato con le sue strisce adesive colorate perfino il sommergibile “Toti” al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano.

«No Curves ce l’ha presentato una truccatrice italiana» dice. «Ci hanno colpito i suoi quadri, tutti fatti solo con nastro adesivo di vari colori. E, come dice il suo nome, senza una linea curva, solo orizzontali, verticali e oblique. In fondo siamo così anche noi, diretti, taglienti, senza giri di parole».

Quello degli Skunk Anansie è un viaggio che sui palcoscenici parte da “Tear the place up” e arriva a “Little baby swastikkka” legando fra loro una ventina di hit. L’avvio, il 4 febbraio scorso dalla Albert Hall di Manchester, è stato prudente, con l’apporto di “Anarchytecture” ridotto al minimo per lasciare spazio all’usato sicuro del repertorio più consolidato; poi via via la band ha preso più fiducia in se stessa, allargando il suo campo d’azione.

«Riascoltando il disco mi sono accorta che ci sono almeno sette-otto pezzi adatti allo show» ammette la cantante. «Cose come ‘Love someone else’, ‘That sinking feeling’, ma pure ‘Death to the lovers’ o ‘Victim’ perché ogni concerto ha una sua storia e seguire una scaletta fissa non c’interessa. Con Ace, Cass e Mark, infatti, ci lasciamo condurre là dove ci porta il pubblico, scegliendo di momento in momento i pezzi più idonei a riscaldargli l’animo».

Questa sera all’Alcatraz (via Valtellina 25). Apertura cancelli alle 18, inizio concerto alle 20. Biglietti esauriti.